“In questo momento dei criminali stanno attaccando la mia casa a Tripoli”. Sono state queste le ultime parole che Mohamed Omar Baaio, direttore della Libyan media corporation, ha postato su Facebook prima di essere arrestato da un gruppo armato insieme ai suoi due figli. Un’ora prima del suo rapimento Baaio aveva scritto, sempre su Facebook, di aver ricevuto un audio-messaggio di minacce dal comandante della Brigata dei rivoluzionari di Tripoli, Ayoub Aburas. Più tardi la Brigata dei rivoluzionari di Tripoli ha pubblicato una foto di Baaio seduto davanti a uno striscione con il suo emblema.
Lo scorso 10 settembre Fayez al Sarraj, il presidente del Governo di accordo nazionale (Gna), aveva messo Baaio alla guida della Libyan media corporation, l’ente libico per l’informazione, un organismo di controllo appena istituito e dotato di ampi poteri, che vanno dal controllo dei quotidiani e dei mezzi d’informazione audiovisivi di proprietà dello stato all’autorizzazione del rilascio di permessi di lavoro fino alla definizione delle politiche dei suoi affiliati. La nomina di Baaio ha suscitato polemiche. Il giornalista era stato infatti portavoce dell’ultimo governo di Gheddafi e aveva sostenuto il generale Haftar. Molti giornalisti, politici e leader di milizie hanno condannato la decisione e perfino diversi membri dello stesso consiglio di presidenza del Gna hanno definito illegale la nomina di Baaio, considerata un insulto alla rivoluzione del 17 febbraio.
Baaio, però, non si è lasciato turbare da queste tensioni e ha cominciato immediatamente ad apportare cambiamenti che hanno ulteriormente irritato alcune milizie. Ha ordinato ai canali televisivi di proprietà dello stato di eliminare dallo schermo il logo dell’operazione “Vulcano di rabbia”, organizzata da alcune milizie nell’aprile del 2019 per respingere l’attacco di Haftar a Tripoli, sostituendolo con le parole “Media di pace”. Ha inoltre ordinato di modificare il linguaggio usato finora in tv, a suo avviso responsabile di alimentare un clima d’odio nel paese. Sarà vietato bollare Haftar come criminale di guerra, e il recente conflitto dovrà essere definito guerra civile e non aggressione o attacco contro Tripoli. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione di assegnare a Hind Ammar – una controversa figura del mondo dell’informazione, nota per il suo sostegno ad Haftar – la gestione dei programmi e della produzione video del canale tv Al Watania. Pare che Hind sia stata rapita un giorno dopo Baaio.
Sotto controllo
Serraj – va ricordato – aveva già preso misure del genere in passato, affidando ruoli importanti a persone che avevano lavorato con il vecchio regime di Gheddafi. Nessuna di queste decisioni aveva però suscitato reazioni simili. Un esempio è la nomina alla guida del dipartimento per i mezzi d’informazione stranieri di Marghani Iuma, un personaggio che ha molto in comune con Baaio. Era l’ottobre del 2018. Il dipartimento è un ente ibrido istituito nel 2007 per decreto, senza compiti e regole precisi né un quadro legale definito. La sua unica finalità è quella di monitorare, e impedire con ogni mezzo, la mobilità dei giornalisti stranieri, rendendo per esempio molto complicato ottenere dei permessi di lavoro o facendo pedinare i singoli giornalisti.
Marghani ha cominciato a fare il giornalista a metà degli anni novanta e ha diretto il quotidiano Al Shams fino al 2008, succedendo a Baaio, che aveva occupato la stessa posizione dal 1994. In seguito è stato promosso alla guida dell’Autorità generale per il giornalismo in Libia. L’ultima versione del quotidiano Al Shams era stata lanciata nel 1993 per ordine di Gheddafi, che aveva fondato un giornale con lo stesso nome nel 1962, quando era studente (almeno questo era quanto raccontava). Al Shams è stato il più importante e pericoloso dei quotidiani ufficiali del regime, l’organo a cui Gheddafi faceva arrivare dichiarazioni e notizie esclusive.
Un altro esempio è la decisione di Sarraj di nominare Abdelqader el Tuhami alla guida dell’intelligence libica, sempre nel 2018. La nomina doveva essere temporanea, ma alla fine El Tuhami è rimasto al suo posto fino alla morte, arrivata lo scorso maggio per un infarto. El Tuhami era un membro del cosiddetto “gruppo per la liquidazione”, gli squadroni della morte di Gheddafi che negli anni ottanta hanno pedinato e assassinato gli oppositori politici del regime in tutto il mondo (perfino il presidente statunitense Ronald Reagan aveva raddoppiato la sua scorta dopo che Gheddafi l’aveva minacciato di morte in tv). El Tuhami è stato inoltre uno dei principali sospettati per l’omicidio dell’agente della polizia britannica Yvonne Fletcher, avvenuto a Londra nell’aprile del 1984.
A prescindere dalle reali motivazioni che ci sono stavolta dietro alle proteste contro le sue decisioni, Sarraj farebbe bene a cercare di tenere sotto controllo le sue milizie, proteggendo i giornalisti invece di passare il tempo a cercare nuovi sistemi per chiudergli la bocca. Se non è al sicuro dalle milizie nemmeno la persona messa a capo della struttura che, secondo Sarraj, avrebbe il compito di controllare i mezzi d’informazione, è difficile immaginare in che condizioni siano costretti a lavorare i giornalisti comuni.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it