“Se dall’alto cadono le bombe, chiedi aiuto o entra nella stanza più vicina”, dice un cartello appeso nella tromba delle scale di un ufficio governativo in Russia. In fondo, qualcuno ha incollato un bigliettino che dice: “Sto assistendo alla caduta della Russia, della moralità e del buon senso. Ma non c’è nessun posto dove andare. Il punto di non ritorno è alle nostre spalle. Davanti a noi ci sono solo paura e disperazione”.
Accanto alla scritta c’è il disegno di una bandiera russa sanguinante. Negli ultimi due mesi graffiti come questo sono entrati a far parte del paesaggio di molte città in tutta la Russia, soprattutto dopo che le manifestazioni e le veglie contro la guerra all’Ucraina hanno cominciato a essere represse. Fa parte di una più vasta protesta contro la guerra, un lavoro che vede impegnate molte leader femministe. “Nella protesta femminista ognuna fa ciò che è alla sua portata. Non abbiamo compiti definiti e una divisione del lavoro… Sembrerebbe che facciamo di tutto fuorché far deragliare i treni”, racconta al telefono Ekaterina (nome di fantasia), un’attivista femminista che vive a San Pietroburgo.
Peggioramento della vita
Da quando è cominciata l’invasione, il 24 febbraio, in Russia più di 15mila persone sono state arrestate per aver partecipato a una manifestazione o a una veglia. Chi è al primo fermo e non sta esibendo un cartello di solito riceve solo una multa. Ma secondo le nuove dure leggi sulla diffusione di notizie riguardanti le istituzioni militari o governative russe, un secondo arresto nell’arco di un anno potrebbe comportare una lunga condanna in prigione. Lo stesso vale per chi espone un cartello contro la guerra.
“La gente, soprattutto nei paesi democratici, non capisce il prezzo della protesta in Russia”, afferma Varia Mikhailova, un’avvocata di un gruppo per i diritti umani che due mesi fa ha lasciato il suo paese per Israele. Secondo la nuova legge sulla censura o le leggi che limitano le proteste, qualunque violazione “non fa rischiare solo una multa, la detenzione o l’arresto, ma anche il licenziamento o la sospensione dagli studi, o entrambe le cose”, aggiunge. “In brevissimo tempo questo causa un peggioramento estremo della vita di una persona su tutti i fronti. Non ci sono abbastanza avvocati per tutti quelli che vengono colpiti. La Russia è un paese grande e le organizzazioni per i diritti umani non hanno risorse sufficienti per offrire aiuto dappertutto. Inoltre, le persone non sono consapevoli dei propri diritti e non sanno a chi rivolgersi”.
Il modo più comune – e relativamente sicuro – per organizzare un’operazione anonima nell’ex Unione Sovietica è Telegram. Un canale femminista contro la guerra – che ha decine di migliaia di iscritti – condivide le proposte per operazioni di protesta clandestine, documentando al tempo stesso gli sforzi già in atto. Inoltre, mantiene nascoste le identità delle donne che lo gestiscono.
La protesta contro la guerra è un segreto scottante in molte città russe
Vengono innalzati dei memoriali improvvisati – di solito croci – dedicati alle vittime di Mariupol, Buča e altri luoghi in Ucraina. Le croci solitamente hanno dei foglietti attaccati con i nomi delle città ucraine, informazioni sulle vittime e appelli contro la guerra. Sorgono in luoghi pubblici, lontani dalle telecamere di sicurezza che ricoprono le città russe: nei cortili delle case, nei parchi e accanto a statue e monumenti ufficiali. Circa una settimana fa le amministratrici del canale Telegram hanno scritto che 850 monumenti del genere erano stati allestiti in 56 città russe.
Alcune donne indossano borse o gioielli con slogan pacifisti e girano la borsa nascondendo i simboli contro la guerra quando necessario, per esempio se c’è un poliziotto in giro. Alcune prendono i mezzi pubblici e cominciano a guardare le immagini della guerra sui loro telefoni, cercando di avviare una conversazione se un altro passeggero nota quello che c’è sullo schermo.
Ricami e piccioni
Altre donne sono attive sui social network, rivolgendosi al pubblico meno istruito su siti come Odnoklassniki e VKontakte. Un’altra iniziativa è quella di appendere agli alberi delle mangiatoie per uccelli con una bacheca di protesta o slogan contro la guerra. Natalia (nome di fantasia), anche lei di San Pietroburgo, ricama messaggi contro la guerra su borse e camicie. A volte scrive solo una parte dello slogan, così che chi legge può completarlo da sé. Poi vende il prodotto finale per raccogliere fondi per i rifugiati ucraini. “Sono andata nel cortile del mio palazzo per scattare una foto a una di queste borse. L’ho appesa a un cespuglio, una donna l’ha vista e mi ha chiesto in modo aggressivo costa stessi facendo e perché”, racconta.
“Glielo leggevo in faccia che stava per chiamare la polizia, ma le ho detto che lo stavo facendo solo per divertimento. Poi se n’è andata e alla fine la polizia non è venuta. A quanto pare non sapeva chi fossi e in quale appartamento vivessi. Alla fine sono riuscita a spedire la borsa all’estero, per venderla e donare il denaro. Quindi è andata a finire molto bene”.
In vista del 1 maggio le amministratrici del canale femminista contro la guerra avevano invitato a un’azione diversa: uscire e andare nelle piazze e nelle strade che hanno la parola “pace” nel proprio nome e dar da mangiare ai piccioni. “Non vergognarti di cominciare una conversazione con la persona che dà da mangiare ai piccioni accanto a te, ma osserva le regole della cautela. Non affrettarti a rivelare informazioni personali, non raccontare le tue esperienze di protesta, non fornire i tuoi dati personali ma solo il tuo account su Telegram, Signal o Element”, dice Natalia, riferendosi alle app di messaggistica che sono considerate sicure.
La città parla
La protesta contro la guerra è un segreto scottante in molte città russe, e uno dei suoi principali centri è San Pietroburgo, la seconda città più grande del paese, con una vasta popolazione di persone istruite e liberali. E nella “capitale del nord” le forze di sicurezza non sono considerate particolarmente minacciose. “Tutto il centro della città è pieno di graffiti”, dice Natalia. “Questa battaglia è visibile sui muri dei palazzi. Un giorno leggi il messaggio ‘no alla guerra’, il giorno dopo vedi che qualcuno ha tentato di cancellarlo, e poco dopo vedi che ci hanno disegnato una Z sopra”, un segno di sostegno per la guerra. Un’altra donna aggiunge: “Questo dialogo va avanti continuamente. La città parla; vedere questa cosa ti rende felice”.
Un altro segnale del fatto che le autorità considerano San Pietroburgo un centro del malcontento è stata la ricerca dei trasgressori nei primi giorni della guerra.
La vicenda è cominciata ai primi di marzo, quando le case di decine di attivisti sono state perquisite sulla base del sospetto che diffondessero messaggi falsi riguardanti mine antiuomo piazzate in tutta la città. Alcune delle sospettate erano attiviste femministe, e qualcuna di loro ha lasciato la Russia per paura di essere arrestata.
Danielle, una persona non binaria che vive a San Pietroburgo, segue il canale Telegram delle femministe e dà vita alle idee pubblicate sulla piattaforma: attaccare adesivi in tutta la città e mettere in circolazione banconote con su scritti slogan pacifisti o informazioni sulle persone uccise nel corso della guerra. “Per me è davvero facile usare queste banconote nei piccoli negozi di alimentari. Di solito sono di piccolo taglio, da cento rubli, che i commercianti non controllano. Le banconote scarabocchiate sono valide, perciò non è un reato”, racconta Danielle su un’app di messaggistica sicura. “Altre volte lascio in giro libri dove ho scritto qualcosa contro la guerra sulla copertina interna. Semplicemente ‘dimentico’ i libri sulle panchine del parco – non crea alcun sospetto. Mi piace molto questa azione. È interessante immaginare cosa pensi e cosa provi la persona che apre il libro. Dopotutto, non può strappare la pagina perché è sulla copertina interna: deve fare i conti con quell’informazione”, aggiunge Danielle.
“Gli operai dei lavori pubblici qui ricoprono i murales con la vernice, ma anche nel mio quartiere, che è molto apolitico, di recente sono andata in giro con un pacchetto di adesivi e ho notato che c’erano molte più scritte contro la guerra sui muri, e anche volantini. È stato molto bello”. Alla domanda se abbia paura, Danielle chiede se può usare un linguaggio volgare e poi risponde con una delle parolacce preferite dai russi: “Pizdyets, ho una paura enorme”.
Alexandra Skočilenko, un’artista di San Pietroburgo, è detenuta da oltre due settimane, periodo che è stato esteso fino al 1 giugno. Sostituiva le etichette del supermercato con bigliettini che riportavano informazioni sulla guerra – un altro metodo sviluppato dalla resistenza femminista contro la guerra. Un cliente ha chiamato la polizia e i video delle telecamere di sicurezza l’hanno incastrata.
Skočilenko adesso è accusata di diffondere informazioni false sull’esercito russo; in base a una nuova legge approvata all’inizio di marzo potrebbe essere condannata fino a dieci anni di carcere. Gli amici spiegano che la donna soffre di celiachia e ha bisogno di cibo senza glutine, che non è disponibile in carcere. Il penitenziario non le permette di ricevere il cibo adatto, mettendo in pericolo la sua vita.
Intanto il sostegno ai prigionieri politici si è trasformato in proteste contro la guerra a pieno titolo. Insieme a decine di attivisti, Natalia è andata all’udienza sulla proroga della carcerazione di Skočilenko. “Non sono riuscita a entrare in aula perché c’erano già cinquanta persone e c’era posto solo per venti. Abbiamo aspettato nel corridoio. A un certo punto il giudice ha proibito di scattare foto e registrare in aula e le persone che sono rimaste riferivano sull’udienza con dei messaggi di testo”, racconta Natalia. “In seguito, [il giudice] ha deciso che l’udienza si sarebbe svolta a porte chiuse, perciò ha cacciato tutti fuori. Ci siamo sedute e abbiamo aspettato per ore, e alla fine l’hanno tenuta in prigione”.
“So che sono seduta su una polveriera”, aggiunge Ekaterina, che al momento è impegnata a fare divulgazione su internet. Quando le viene chiesto quanto sia efficace la protesta silenziosa risponde: “Ti dà un motivo per sentire che c’è azione, e non poca, che è ancora possibile fare qualcosa. E le persone a favore della guerra almeno sanno che esiste una visione alternativa”.
Danielle, che di recente ha partecipato a uno spettacolo di beneficenza per la prigioniera politica Skočilenko presso la sede del gruppo, racconta: “C’erano più di cento persone lì che non conoscevo; era così affollato e così bello. La gente si salutava, e si scambiava battute del tipo ‘Ciao, noi siamo state in prigione insieme’. È stato particolarmente divertente quando abbiamo aperto le finestre e abbiamo continuato a cantare”.
Forse la protesta femminista clandestina non può convincere Vladimir Putin a porre fine al suo attacco contro l’Ucraina, ma fa sì che molti oppositori della guerra – quelli che sono rimasti in Russia – non si sentano soli.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.
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