Quei puntini luminosi e appuntiti sono stelle vicine, ma ogni piccolo ovale, ogni grumo scintillante è una galassia lontana, una creazione vorticosa piena di stelle, polvere e pianeti. Alcune delle galassie in primo piano fanno parte di un ammasso chiamato SMACS 0723, così imponente che la sua gravità deforma la luce proveniente da altre galassie più lontane. L’effetto aumenta la loro luminosità, facendone emergere migliaia dall’oscurità. Le gemme cosmiche riempiono ogni angolo dell’inquadratura, ognuna di esse immortalata così come appariva miliardi di anni fa, quando la luce delle stelle lasciò i loro bordi scintillanti e cominciò ad attraversare l’universo.
L’immagine, pubblicata l’11 luglio, è stata scattata dal più recente osservatorio spaziale del mondo, il telescopio spaziale James Webb. Si tratta della prima vera istantanea della missione, avviata più di sei mesi fa e attualmente in orbita a circa un milione di chilometri dalla Terra.
L’immagine è bella e scintillante, un’ottima scelta per lo sfondo di un computer. Ma è anche, fatto più importante, una visione completamente nuova dell’universo. La luce delle galassie in primo piano è partita 4,6 miliardi di anni fa, e quella delle galassie che si trovano sullo sfondo ancora prima. Tutta questa luce è stata catturata con un grado di dettaglio senza precedenti dal telescopio spaziale più potente della storia, facendo di quest’istantanea una delle immagini dell’universo più profonde e ad alta risoluzione che l’umanità abbia mai scattato.
Siamo qui, su questa piccola palla di roccia in un universo sconfinato, e siamo riusciti a intravedere l’universo com’era miliardi di anni prima che esistessimo
Gli astronomi chiamano questo tipo di visione “campo profondo”: un’immagine di un punto dello spazio, realizzata con lunghi tempi di esposizione in modo che lo strumento possa davvero assorbire tutta la luce in arrivo. Ricordate Hubble e quella gloriosa immagine a campo profondo degli anni novanta, con migliaia di galassie scintillanti? Il telescopio Webb è stato progettato per individuare oggetti celesti circa cento volte meno luminosi di quelli che può rilevare Hubble.
L’immagine non è la più profonda che Webb sia in grado di ottenere, ma gli astronomi dell’équipe del Webb sono comunque sorpresi da quanto sia bella, e hanno capito qualcosa di straordinario sulle capacità dell’osservatorio. Praticamente ogni immagine scattata dal telescopio Webb di un determinato oggetto cosmico sarà di fatto un’immagine di campo profondo, un’istantanea da profondità precedentemente irraggiungibili, lo sfondo scintillante di galassie lontane che il telescopio ha catturato per caso. E ogni nuova immagine ha il potenziale di diventare la nostra visione più profonda di sempre.
L’immagine diffusa è, a livello pratico, la prova del successo della missione per la Nasa e i suoi partner in questo ambizioso sforzo, l’Agenzia spaziale europea e l’Agenzia spaziale canadese. È come se le agenzie spaziali potessero ora gridare pubblicamente: guardate questo telescopio spaziale da dieci miliardi di dollari a cui abbiamo lavorato per più di 25 anni: funziona! Funziona benissimo.
Ma a un livello più profondo (scusate) l’immagine rappresenta qualcos’altro, una sorta di livellamento cosmico. Siamo qui, su questa piccola palla di roccia in un universo sconfinato, e siamo riusciti a intravedere l’universo com’era miliardi di anni prima che esistessimo. Abbiamo esteso la nostra percezione dell’universo dal cielo notturno ai pianeti, ad altri soli e ad altre galassie, e presto coglieremo una luce ancora più antica, ancora più lontana da noi, più vicina al grande, misterioso momento in cui l’universo ha avuto inizio.
Questo tipo di scienza del campo profondo è una disciplina abbastanza nuova. Prima del lancio di Hubble, all’inizio degli anni novanta, l’astronomia si svolgeva nel seguente modo: si sceglieva una stella, una galassia o un altro oggetto cosmico che si voleva studiare e si puntava un telescopio nella sua direzione. “Non accadeva mai di prendere il telescopio e di puntarlo su una zona di cielo molto vuota, perché sarebbe stato uno spreco di tempo telescopico”, mi ha detto Caitlin Casey, astronoma dell’università del Texas ad Austin.
È esattamente ciò che gli astronomi dissero a Bob Williams, allora direttore dell’istituzione che gestiva il telescopio spaziale Hubble, quando nel 1995 decise di fare esattamente questo. Williams pensava che se avesse puntato Hubble verso una regione piuttosto vuota per molte ore di fila, il telescopio avrebbe rivelato qualcosa di interessante; dopo tutto, più a lungo un telescopio spaziale guarda in una direzione, maggiore è la luce che rileva. La sua intuizione si rivelò corretta e lo sforzo produsse il famoso campo profondo di Hubble, una vista di circa tremila galassie che si estendeva per miliardi di anni indietro nel tempo.
Da Hubble a Webb
Da allora Hubble ha prodotto diversi campi profondi, raggiungendo il limite delle sue capacità. Ormai il telescopio, che ha 32 anni e osserva il cosmo nelle lunghezze d’onda del visibile e dell’ultravioletto, con appena un accenno di infrarosso, ha visto quanto più lontano nel tempo gli era possibile. Hubble non è in grado di individuare le stelle e le galassie più lontane dell’universo; il bagliore emanato da questi oggetti è partito come luce visibile, ma ha viaggiato attraverso lo spazio così a lungo da raggiungere la Terra come luce infrarossa. E la luce infrarossa è la specialità di Webb. Casey e altri astronomi si sono già assicurati del tempo su Webb per fare ciò che Williams fece quasi trent’anni fa. Secondo Casey, se il campo profondo di Hubble fosse contenuto in un foglio di carta, l’equivalente di Webb sarebbe un murales di 16 metri per 16.
Webb non è destinato a osservare solo stelle e galassie antiche. Il telescopio può studiare quasi tutto, dai pianeti del nostro sistema solare alle regioni di formazione stellare a milioni di anni luce di distanza. A differenza della luce visibile, gli infrarossi possono attraversare la polvere cosmica, il che significa che Webb rileverà oggetti invisibili a Hubble. E Webb è così sensibile, ha detto Casey, che anche quando non sta cercando un gruppo di galassie lontane, queste sono destinate a fare photobombing. “Dovunque si guarderà nel cielo, anche se si sta guardando un pianeta del sistema solare, si vedranno queste galassie sullo sfondo”, ha detto Casey.
La Nasa ha poi reso pubbliche altre immagini di Webb, segnando l’inizio delle operazioni scientifiche della missione. Gli scienziati sono entusiasti, ansiosi di analizzare i dati che stanno dietro alle belle immagini. L’entusiasmo di alcuni astronomi è mitigato dalla controversia sul nome di Webb, un ex amministratore della Nasa che secondo alcuni sarebbe stato complice di discriminazioni nei confronti di dipendenti pubblici lgbt+ negli anni cinquanta e sessanta; la Nasa ha condotto un’indagine sul passato dell’amministratore, ma finora si è rifiutata di prendere in considerazione la possibilità di rinominare la missione. Tuttavia, l’umore generale della comunità astronomica è molto più allegro rispetto a dicembre, quando Webb era ancora sulla rampa di lancio nelle coste del Sudamerica.
Ricordo di essermi seduta nella sala di controllo della missione nella Guyana Francese e di aver parlato con Pierre Ferruit, scienziato del progetto Webb presso l’Agenzia spaziale europea, che aveva un’aria nervosa come tutti gli altri in città. All’epoca, nessuno avrebbe potuto prevedere che Webb si sarebbe mosso in modo così fluido attraverso le complicatissime operazioni di dispiegamento previste per i suoi primi mesi di permanenza nello spazio.
Quando ho parlato con Ferruit su Zoom qualche giorno fa, era raggiante di sollievo. “Temevamo il lancio, temevamo il dispiegamento e invece è andato tutto liscio”, mi ha detto. Aveva visto la prima serie di immagini, ed erano fantastiche. Ora, finalmente, è giunto il momento per gli astronomi di lasciar perdere le preoccupazioni sulla meccanica, e di concentrarsi su ciò che il telescopio è in grado di mostrarci a proposito del meraviglioso e misterioso universo che circonda la nostra piccola palla di roccia.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dall’Atlantic.
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