In Sardegna dal 7 febbraio i pastori protestano per il prezzo del latte considerato troppo basso. Nel maggio del 2018 la quotazione per quello ovino – cioè la cifra pagata dagli imprenditori dei caseifici – era di 85 centesimi al litro, mentre oggi è di 60 centesimi; il prezzo pagato per quello caprino è di 50 centesimi. Cifre che coprono “solo una parte dei costi di produzione”, secondo Battista Cualbu, pastore e presidente di Coldiretti Sardegna. “Vogliamo un euro al litro più iva, altrimenti non tornano i conti”.

Le manifestazioni stanno bloccando la filiera e la produzione di formaggio. Ogni giorno allevatrici e allevatori buttano o regalano ettolitri di latte, facendosi riprendere o filmandosi con i telefoni, e le immagini finiscono sui social network, accompagnate dalle rivendicazioni e dalle storie dei lavoratori.

A Serramanna, trenta chilometri a nord di Cagliari, Anna Cuccu è stata una delle prime a lanciare l’idea di non dare il latte ai caseifici: “Fatelo tutti! Ai maiali oggi il latte”. Il suo gesto (accompagnato sui social network dall’hastag #iostoconipastori) è stato ripetuto da nord a sud, da Mamoiada a Macomer, da Alghero a Orune.

Lo scorso fine settimana sulla strada statale 131, la strada principale che collega Cagliari a Porto Torres, ci sono stati blocchi stradali, le autocisterne con il latte sono state svuotate e a Porto Torres un tir che trasportava carne di maiale è stato preso d’assalto.

Sulla violenza e gli atti di vandalismo è arrivata la condanna unanime dei protagonisti più attivi del movimento come Nenneddu Sanna, pastore di Orune, e Felice Floris, storico leader del Movimento pastori sardi che nel 2010 organizzò proteste simili a quelle di oggi.

Le elezioni
Floris è stato uno degli interlocutori – insieme a Coldiretti e Copagri – del presidente del consiglio Giuseppe Conte e del ministro all’agricoltura Gian Marco Centinaio, che in questi giorni sono stati a Cagliari.

La presenza dei due politici non è casuale. Il 24 febbraio in Sardegna si vota per le regionali e il clima è teso. Durante il vertice i rappresentanti del governo hanno chiesto di sospendere le proteste fino al 21 febbraio, giorno in cui sarà convocato un tavolo nazionale di settore. Ma la richiesta è stata rifiutata: ci sono stati nuovi blocchi stradali e versamenti di latte nell’oristanese e nel Sarrabus, Sardegna sudorientale.

A Nuoro c’è stato un corteo e alcuni negozi hanno abbassato le saracinesche per protesta. In altri piccoli paesi le persone hanno steso lenzuola bianche alle finestre in solidarietà con i pastori. La protesta ha coinvolto anche muratori, studenti, alcuni mangimifici e addirittura un caseificio, che ha sospeso la produzione. Anche i vescovi sardi hanno mostrato solidarietà, anche se in una nota hanno scritto: “Non sprecate il latte, meglio donarlo”.

Un settore chiave
La pastorizia resta uno dei settori chiave nell’economia della Sardegna: dopo la benzina e il gasolio della raffineria Saras, il prodotto più esportato è il pecorino romano dop, acquistato per più del 60 per cento negli Stati Uniti. Secondo i dati del consorzio di tutela del pecorino romano dop (a cui sono affiliati 34 dei 41 caseifici che lo producono) ogni anno più della metà del latte sardo è trasformato in questo tipo di formaggio (circa 160 milioni di litri su 300 milioni).

La filiera è regolata da quote di produzione che non dovrebbero essere superate dai vari caseifici. Su queste soglie dovrebbe vigilare il consorzio di tutela del pecorino romano dop, ma le multe sono considerate irrisorie da molti produttori e così spesso le quote non sono rispettate. Nel tempo, la produzione in eccesso ha fatto crollare il prezzo del formaggio, passato da quasi dieci euro al chilo nel 2015 a quasi sei euro oggi. Gli effetti ricadono sui 12mila allevamenti ovini che ci sono in Sardegna, dove si trova il 40 per cento delle pecore in Italia.

Il ministro dell’interno Matteo Salvini ha dichiarato che troverà una soluzione nel giro di 48 ore. La campagna elettorale stringe e il segretario della Lega, nonché vicepremier, simpatizza con chi protesta e annuncia che tornerà sull’isola il 17 febbraio.

Ma lavoratrici e lavoratori restano sul piede di guerra. “Se entro pochi giorni non si trovano soluzioni per il nostro settore”, ha dichiarato il coordinamento dei pastori, “bloccheremo la Sardegna il 24 febbraio, giorno delle votazioni. Non entrerà nessuno a votare: non è che non andiamo a votare, non voterà nessuno, blocchiamo la democrazia, ognuno si assuma le proprie responsabilità”.

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