A Parigi la povertà è sotto gli occhi di tutti. Impossibile non vederla, anche per chi è semplicemente di passaggio. Eppure sa anche nascondersi, come quei poveri che vivono lontano dagli altri, lungo il périphérique, il raccordo anulare parigino.
Come giornalista dell’Afp mi interesso da tempo a questo argomento. Ho voglia di raccontare chi sono queste persone che vediamo tutti i giorni senza vederle veramente. Prima di vivere per strada, queste persone erano come noi, hanno giocato nel cortile della scuola, sono andate in vacanza, hanno festeggiato i compleanni in famiglia.
Oggi sono quasi invisibili, come se facessero parte dell’arredo urbano. Tra di loro alcuni decidono di isolarsi, mettendosi in un certo senso ai margini della città. Decine di uomini e donne hanno trovato riparo vicino al périphérique parigino, un anello stradale di 35 chilometri che corre intorno alla capitale. Si nascondono nei suoi tunnel, nei suoi condotti di aerazione, ai bordi della strada, in mezzo alla polvere, al rumore e ai topi.
A pochi passi dalla strada
Parlando con gli operatori sociali del Samu (Servizio di pronto soccorso sociale) di Parigi sono venuta a conoscenza del servizio svolto lungo il périphérique dall’associazione Enfants du canal: “Vanno a trovare le persone che nessuno vuole vedere”.
Così sono entrata in contatto con questa associazione che lotta contro l’emarginazione. Mi hanno detto subito di sì. Il loro progetto in favore degli abitanti del périph è cominciato un anno e mezzo fa e vorrebbero prolungarlo, convinti della sua importanza. Sono molto contenti che si parli del loro lavoro.
Il nostro primo incontro è alla porta des Ternes, a ovest di Parigi. Con il fotografo dell’agenzia, Philippe Lopez, facciamo conoscenza con Morgane e Jérôme. Morgane, 27 anni, è un’educatrice. Jérôme, 44 anni, è un “lavoratore-amico”: anche lui ha vissuto in strada e oggi lavora per l’associazione. Jérôme conosce Parigi come le sue tasche e indovina subito quale cespuglio o nascondiglio è diventato una casa di fortuna.
Loro riescono a fare il giro del périph in una settimana. Mi affido a loro perché non voglio impormi nella vita quotidiana di chi ha fatto la scelta di emarginarsi. Morgane e Jérôme sanno chi sarà ostile ai giornalisti o non in grado di rispondere perché alcolizzato o drogato, e chi invece vorrà parlare un po’ di sé.
Lungo il périphérique i senzatetto cercano una forma di tranquillità, di isolamento
Il primo che incontriamo è Gustave, 75 anni. Quando arriviamo nella “sua casa”, una tenda a pochi passi dalla strada, troviamo un uomo elegante, occhi blu, in camicia e con il fazzoletto nel taschino. Nonostante il grigio della strada e del terreno, nella tenda si percepisce un’incredibile immagine di pulizia. E Gustave non sembra fare attenzione ai topi che passano velocemente dietro di lui.
Perché questo anziano signore è finito qui, a pochi metri dal frastuono furioso degli automobilisti, in mezzo ai topi? La sua risposta mi sorprende: per essere “tranquillo”. Questo inferno è il suo paradiso. “Qui sono libero”.
Lungo il périphérique i senzatetto “cercano una forma di tranquillità, di isolamento. Non sono disturbati dalle visite di volontari che offrono tè, caffè, o dalle altre persone che vivono per strada”, mi spiega Jérôme.
Gustave è un personaggio “storico”. Morgane e Jérôme lo conoscono da molto tempo. Nel quartiere l’uomo ha una sua rete di rapporti sociali: un amico gli porta una tanica d’acqua, un altro gioca a carte con lui. Accetta volentieri di parlare, offre un caffè. Philippe lo fotografa davanti alla tenda, con il suo labrador Etoile accucciato ai piedi.
La terra di nessuno
A poche decine di metri un fratello e una sorella hanno trovato riparo in un condotto di aerazione. Penso alla lamiera, bollente d’estate e glaciale d’inverno. Non vogliono parlare. Difficile farsi accettare come giornalista. Difficile per loro probabilmente parlare di questa situazione.
“Li conosco bene io i giornalisti!”, mi ha detto David, 42 anni, quando l’ho visto per la prima volta. Brontolava mentre smontava un’automobile recuperata nei rifiuti di un ospedale, separando i diversi componenti che avrebbe rivenduto a peso. Un giorno una fotografa gli ha scattato una foto senza chiedergli il permesso e lui si è sentito come un “animale allo zoo”. Vedendo che ho solo il mio quaderno e una matita, David comincia a rilassarsi e accetta di parlare di sé.
“Ho vissuto un po’ ovunque ma è qui che mi trovo meglio. Qui posso fare qualche lavoretto e guadagnare un po’ di denaro. E poi dove vuoi che vada? Non posso mica chiedere la luna…”.
David non ha mai avuto una casa tutta sua. E la sua richiesta di un alloggio popolare è rimasta senza risposta. “Non ho conosciuto i miei genitori, sono cresciuto negli istituti, un po’ qua e un po’ là. Nella mia vita non ho mai avuto un vero posto dove andare. È importante nella vita avere un posto dove andare”, mi confida.
Vicino a porta des Lilas, nell’est parigino, David si è costruito un vero e proprio rifugio dove dorme, lavora, cucina, segue le notizie sul suo portatile. Per arrivarci ho seguito Morgane e Jérôme lungo uno stretto sentiero che costeggia lo svincolo di questa autostrada urbana. Si passa attraverso dei boschetti e, a un livello inferiore della strada, si vede il rifugio di David.
Baracche come la sua sono impensabili per le strade della capitale. In città per dormire bisogna accontentarsi di un pezzo di cartone o di un portone che si dovrà liberare all’alba.
Qui invece, in questa terra di nessuno tra la città e la periferia, si può riprodurre una parvenza di abitazione, mettere le proprie cose e anche “beneficiare” di un po’ di verde. E anche se i servizi municipali ne mandano via sempre qualcuno, altri, se sono discreti, sono tollerati e riescono a rimanere qui diversi mesi, anche anni.
I più capaci prendono l’elettricità da un pilone vicino, mettono dei resti di tavole o di moquette per terra, attaccano sui muri delle foto, dei poster e riescono a creare delle abitazioni quasi accoglienti.
Una vita difficile
Vicino a porta des Lilas, Piotr è alla sua quarta costruzione. È riuscito addirittura a coltivare dei pomodori. Entrando in casa sua, bevendo insieme un caffè al suono del tic tac di un orologio, dimentico di trovarmi a pochi metri dal flusso rumoroso del traffico.
Nascosto in un minuscolo triangolo di terra allo svincolo di Bercy, Lucian si è costruito una graziosa casetta, con un tappetino all’entrata e delle tendine alle finestre. Davanti alla sua baracca, uno specchio e una saponetta rappresentano l’angolo bagno.
Lo immaginiamo mentre si lava il mattino, con le auto che sfrecciano dietro di lui. Ma quel giorno non c’è, probabilmente è andato al mercato degli chiffonniers, gli straccivendoli della porta di Clignancourt.
Appuntamenti mancati come questi ce ne saranno molti nel corso del mio reportage: Roberto è tornato per qualche giorno nella sua Romania, William che quella mattina non è riuscito ad alzarsi e così via.
Alcuni hanno costruito con le loro mani una parvenza di casa, altri vivono nella miseria più nera. Penso ad Ahmed, che vive sotto un ponte, un riparo minuscolo che raggiunge piegandosi in due.
Vivere lungo questa strada trafficata non è privo di conseguenze: l’inquinamento, il rumore e le cattive condizioni di vita minacciano una salute già precaria. A settembre Morgan e Jérôme avevano registrato 136 abitanti del périph. Alcuni sono andati via, altri rimarranno invisibili.
Io ne ho incontrati solo una piccola parte, ma ho passato diversi giorni a camminare sull’asfalto, correndo dietro Morgane e Jérôme per attraversare il “périph” senza farmi investire dalle auto, scoprendo dietro le foglie rifugi fatti con cura. Il mio rimpianto è quello di non aver potuto incontrare delle donne, poco numerose perché troppo vulnerabili in questi spazi isolati.
Morgane e Jérôme sono riusciti ad aiutare sette persone ad andare via dalla strada e ne hanno aiutate altre a fare le pratiche per ottenere i loro documenti, a farsi curare o a ricevere i sussidi.
Andiamo via dal périph lasciandolo ai suoi abitanti e a chi se ne prende cura. Lasciamo Morgane e Jérôme, che ci salutano scherzosamente: “D’ora in poi ‘Bella penna’ e ‘Occhio attento’ saranno i vostri nomi da indiani del périph”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Questo articolo è stato pubblicato sul blog Correspondent dell’Agence France-Presse.
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