Poiché sono una scrittrice, e poiché sono un’accumulatrice compulsiva, il mio appartamento è disseminato di taccuini che contengono un miscuglio di annotazioni ed elaborati scolastici. Molte pagine non hanno data, ma io posso dire a quale periodo della mia vita corrispondono semplicemente guardando la calligrafia. Nei primi scritti, quando ero alle elementari, la mia grafia era spigolosa, frastagliata; persino le “e” presentavano angoli acuti. Alle medie, quando volevo essere più femminile (e stavo comunque fallendo), scrivevo lettere più tondeggianti, ogni curva era una bolla pronta a scoppiare. Al liceo, quando era giunto il momento di prendere sul serio l’iscrizione all’università, ho adottato il corsivo, snello e controllato.

Ciascuna delle mie metamorfosi è avvenuta seguendo una secolare credenza statunitense, secondo la quale le persone – addirittura diverse tipologie di persone – possono essere definite da come scrivono le lettere dell’alfabeto, anche se questa “indicazione” oggi può sembrare obsoleta. Nell’era del testo sugli schermi, molti di noi difficilmente scrivono a mano, quindi raramente abbiamo l’opportunità di valutare il carattere di qualcuno mediante la calligrafia. La scrittura a mano, come linguaggio a sé stante, sta scomparendo.

Nella scrittura il carattere

Nel corso dei secoli si è modificato il modo in cui le persone leggevano quel linguaggio. Fino al diciannovesimo secolo, almeno negli Stati Uniti, lo stile di scrittura non era tanto un atto di auto espressione (scoperta di sé), quanto un indicatore della propria categoria sociale, compresa la professione. “Esistevano font (caratteri) per i mercanti, per esempio, che dovevano riflettere l’efficienza e la velocità con cui lavoravano”, mi ha detto Tamara Plakins Thornton, una storica dell’università di Buffalo e autrice di Handwriting in America. Gli avvocati usavano una scrittura diversa, gli aristocratici un’altra ancora e così via. Le distinzioni erano imposte da norme sociali, dagli insegnanti, dai clienti e da colleghi e impiegati.

Anche agli uomini e alle donne erano assegnati font diversi. Agli uomini veniva insegnata la “scrittura robusta”, mi ha detto Carla Peterson, professoressa emerita di lingua inglese all’università del Maryland. Usavano il Roundhand, un carattere abbastanza grosso pensato per essere prodotto con una forte pressione sul calamo o sulla penna; le donne, al contrario, imparavano il corsivo italico, più stretto, simile all’odierno Italic. “Quest’ultimo stile è stato compresso”, dice Ewan Clayton, esperto di scrittura a mano dell’università del Sunderland, nel Regno Unito, “nello stesso modo in cui si è ristretto il girovita delle donne”. Alla fine, anche le donne hanno iniziato a usare il Roundhand.

Si credeva che la scrittura a mano potesse essere un’articolazione di sé, e che il carattere della scrittura dicesse qualcosa sul carattere di una persona

L’idea che gli stili di scrittura possano differire significativamente da una persona a un’altra – e che queste differenze possano essere un mezzo per mostrare la sua vera natura – prese piede nel diciannovesimo secolo, nel momento in cui la corrispondenza commerciale e i documenti cominciarono a essere redatti con la macchina da scrivere. L’arte della scrittura si libera dagli obblighi professionali, diventando più personale. “Si credeva che la scrittura a mano potesse essere un’articolazione di sé, e che il carattere della scrittura dicesse qualcosa sul carattere di una persona”, dice Mark Alan Mattes, un docente di lingua inglese all’università di Louisville e curatore della prossima collezione Handwriting in early America.

In nessun altro campo questa convinzione è stata meglio dimostrata che nel campo della grafologia. Nel 1840, Edgar Allan Poe (che amava molto le misurazioni scientifiche) pubblicò le sue analisi sulle firme di più di cento scrittori, e su come le loro linee e i loro ghirigori corrispondessero allo stile della prosa di ciascun autore. Della firma di Henry Wadsworth Longfellow, scrisse: “Qui vediamo indicazioni chiare della forza, del vigore e della ricchezza brillante del suo stile letterario; la deliberata e salda rifinitura delle sue composizioni”.

Poe non fu così magnanimo con la poetessa Lydia Sigourney: “Dalla firma della signora S. potremmo facilmente giudicare le sue composizioni. Libertà, dignità, precisione e grazia – ma nessuna originalità – potrebbero essere correttamente attribuite a lei. Ha un gusto raffinato, senza avere una mente geniale”. Una guida alla grafologia del 1892, più sistematica, informa i lettori che le persone che collegano tutte le lettere tra loro sono “puramente deduttive” nei propri ragionamenti, mentre quelle le cui lettere presentano uno spazio vitale sono “puramente intuitive”.

La propensione per la grafologia continuò all’inizio del ventesimo secolo, quando i ricercatori pubblicarono studi in cui dichiaravano che i lettori potevano indovinare il sesso di una persona dalla sua scrittura con un’accuratezza che andava oltre la semplice casualità, come se agli studenti non fosse stato ancora insegnato che i ragazzi e le ragazze, solo qualche decennio prima, dovevano scrivere in modi diversi. Durante gli anni settanta, i ricercatori esplorarono la scrittura a mano in cerca di tratti caratteriali. Secondo uno studio “non mettere i puntini sulle i è indice di persone non sottomesse, non egocentriche e socialmente impegnate”.

La morte della scrittura a mano

L’analisi della scrittura a mano ha cominciato a toccare il fondo nell’era della connettività informatica, quando la digitazione prese il sopravvento. “Stiamo assistendo alla morte della scrittura a mano”, dichiarò Time nel 2009. Da allora quasi tutto è diventato digitale. Ora trascorro metà della mia vita a parlare con i miei collaboratori, e non ho idea di come siano le loro scritture. La stessa cosa vale per il sottogruppo dei miei amici a cui non capita di inviare biglietti di auguri di compleanno. Uno dei miei migliori amici si sposerà il prossimo anno, e non ho mai visto la scrittura a mano della sua fidanzata. Come dovrei sapere se tende alla deduzione o all’intuizione, se è intelligente o socialmente impegnata, se è un’artista o una serial killer?

Voglio essere chiara: la grafologia, come mi ha detto Thornton, è “tutta una stronzata”. Pochissimi fattori innati influenzano la scrittura di una persona. Nemmeno la leggibilità o il disordine sono indici di intelligenza (sono state fatte entrambe le affermazioni). La scrittura a mano può essere usata per diagnosticare una condizione che influenza i movimenti di una persona, come il morbo di Parkinson, ma non si può imparare nulla sul senso morale di una persona da come mette il trattino sulle “t”.

“Ciò che puoi capire dalla scrittura è come una persona socializzi e si presenti al mondo”, dice Seth Perlow, un professore associato di lingua inglese alla Georgetown university. “I medici hanno tradizionalmente una scrittura approssimativa; le adolescenti hanno la consuetudine di mettere dei cuoricini sulle i. Le ragazze non scrivono in quel modo, perché sono femmine; lo fanno perché hanno imparato che i cuoricini sono associati alla femminilità”.

Ricordo che da bambina mi esercitavo con le lettere quando mi annoiavo in classe, aggiustando le parti che non mi piacevano, aggiungendo e togliendo i trattini dai miei 7. Provare un nuovo stile era come provare un nuovo modo di vestirsi davanti allo specchio, valutare come appariva, sapendo che anche altre persone lo avrebbero visto. Oggi, con la scrittura a mano diventata sempre meno presente nella nostra vita quotidiana, Thornton mi ha detto: “Esiste una buona ragione per pensare che questo non sia un ambito per l’espressione della propria personalità. È solo qualcosa che devi imparare e con cui devi cavartela nel migliore dei modi possibili”. Se vuoi affermare la tua identità, e vuoi che la gente lo noti, forse è meglio farlo lavorando sul tuo aspetto, aggiungendo qualche dato nella tua biografia su Instagram, o aggiornando LinkedIn così che tutti sappiano che sei un commerciante senza dover decifrare la tua scrittura a zampe di gallina.

Infatti, molte delle qualità che venivano un tempo trasmesse con un certo tipo di scrittura a mano, per esempio l’inclinazione letteraria e l’apertura emotiva, oggi possono essere comunicate senza dover usare una penna. Perlow ha studiato la pratica di postare foto su Instagram di poesie scritte a mano, e mi ha riferito che questo “evoca una sensazione di autenticità, o di espressività, o di un contatto diretto con la personalità del poeta”.

Le aziende tecnologiche hanno provato a vendere quella sensazione sotto forma di “scrittura a mano” generata dal computer. Servizi come Handwrytten, Simply noted e Pen letters consentono ai clienti di digitare un messaggio che un robot poi trascriverà, usando una penna vera, in qualsiasi stile di scrittura a mano (poi la lettera scritta dal robot viene spedita a tuo nome). Ma con questi strumenti si corre il rischio di evocare una sensazione di pigrizia piuttosto che una sensazione di autenticità. Se un amico o un familiare mi mandasse una lettera o una cartolina scritta in questo modo, mi sentirei infastidita dal fatto che non abbiano dedicato tempo o impegno a scrivere qualcosa di proprio pugno.

Forse è davvero a questo che la scrittura a mano si riduce nell’era digitale: tempo e impegno. Io e mio marito qualche volta ci scriviamo delle lettere, ed è un estenuante atto d’amore. Capire cosa voglio dire è un progetto emotivo e intellettuale. Ma dopo un po’ che scrivo, la sfida diventa prettamente fisica. Comincio ad avere crampi alla mano destra. Il dito medio duole nel punto in cui poggia la penna. Mi piacerebbe credere che la mia determinazione a scrivere provando sofferenza dica di me più della scrittura che ho scelto qualche decina di anni fa.

(Traduzione di Amadio Ruggeri)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito del mensile statunitense The Atlantic.

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