In quella che sta ormai diventando una situazione frequente negli atenei degli Stati Uniti, uno scienziato di origine cinese in un’università di alto profilo è stato recentemente arrestato per i suoi legami con il governo di Pechino. Si tratta di Gang Chen, cittadino statunitense naturalizzato e rispettatissimo professore d’ingegneria meccanica al Massachusetts Institute of Technology (Mit), che circa un mese fa è stato incriminato da un gran giurì per “non aver rivelato contratti, nomine e premi ottenuti da varie entità della Repubblica Popolare Cinese”.
Secondo le autorità, Chen, che ha ricevuto sovvenzioni dal dipartimento dell’energia degli Stati Uniti per le sue ricerche sulle nanotecnologie, non ha debitamente informato l’agenzia statale di contratti che gli hanno fruttato “centinaia di migliaia di dollari in pagamenti diretti” provenienti da varie istituzioni cinesi. Gli avvocati di Chen hanno risposto in modo aggressivo, accusando il procuratore degli Stati Uniti, Andrew Lelling, di aver espresso commenti “falsi e altamente provocatori”, che hanno messo in discussione la “personalità e la reputazione” di Chen. L’Mit ha accettato di finanziare la difesa legale di Chen, e centinaia di suoi colleghi hanno firmato una lettera aperta in sua difesa.
Il caso di Chen rientra in un più ampio giro di vite del governo degli Stati Uniti sugli scienziati, che ha preso di mira cittadini cinesi e sino-americani, e ha rimesso in discussione il ruolo di primo piano degli istituti universitari statunitensi nella ricerca scientifica globale. Battaglie commerciali, violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, militarizzazione del mar Cinese meridionale: sono questi i fenomeni che vengono in mente quando gli statunitensi pensano alle crescenti tensioni con la Cina. Ma sotto molti punti di vista le università statunitensi sono un campo di battaglia più vicino. Sono centri di ricerca puri, che effettuano cioè studi sui fondamenti dei fenomeni naturali senza specifiche applicazioni commerciali o militari. Secondo le attuali linee guida del governo degli Stati Uniti, questo tipo di ricerca deve essere mantenuto il più aperto possibile. La preoccupazione di molti politici statunitensi è che Pechino stia usando dei cosiddetti fornitori non tradizionali di informazioni – studenti, docenti e altri ricercatori – per rubare segreti ai laboratori statunitensi e ottenere un vantaggio competitivo.
La natura della ricerca scientifica
Il caso di Gang Chen, e di altri che lo hanno preceduto, riporta così a galla una serie di interrogativi sulla natura della ricerca scientifica negli Stati Uniti: le università dovrebbero promuovere la collaborazione globale e accogliere talenti stranieri, oppure essere più strettamente statunitensi nel loro orientamento? Dovrebbero stringere forti relazioni in Cina oppure cercare di “sganciarsi” da essa? Come può la ricerca finanziata dai contribuenti statunitensi essere protetta dai malintenzionati, in un ambiente fondamentalmente aperto?
L’amministrazione Trump ha avuto risposte facili a simili domande: in primo luogo impedire agli studenti cinesi di recarsi negli Stati Uniti, e ordinare un giro di vite sulle persone con legami illeciti con la Cina.
Anche se la discriminazione è difficile da provare, le persone di origine cinese sono state prese specificamente di mira in passato
Nell’autunno del 2018 l’allora procuratore generale Jeff Sessions aveva annunciato la China initiative, un’iniziativa contro lo spionaggio economico e il furto di segreti commerciali, sostenuti da Pechino, nelle aziende e nelle università statunitensi. L’amministrazione aveva limitato la possibilità di studiare negli Stati Uniti per i cittadini cinesi, inclusa la cancellazione senza preavviso dei visti per gli studenti cinesi che avessero rapporti accademici con università e istituzioni legate all’esercito di Pechino.
Alcune proposte di legge si spingono anche oltre. Il Secure campus act, proposto nel 2020 da tre repubblicani – i senatori Tom Cotton e Marsha Blackburn, e il deputato David Kustoff – impedirebbe a tutti i cittadini della Cina continentale di ricevere visti di studio o ricerca negli Stati Uniti per seguire corsi universitari o post-laurea nelle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). In molti si aspettano che la nuova amministrazione si mostri più flessibile in materia di immigrazione rispetto al suo predecessore, ma anche Joe Biden è stato spesso parecchio critico nei confronti della Cina.
Giro di vite discriminatorio
Anche se gli inquirenti federali hanno rivelato alcune irregolarità, non è ancora chiaro quale sia il volume di attività illecite oggi nei campus statunitensi. L’Fbi si vanta di avere più di duemila indagini in corso legate in qualche modo alla Cina, ma finora le autorità hanno effettuato arresti solo in una dozzina d’istituzioni accademiche. La maggior parte di questi casi riguarda frodi, non attività di spionaggio, e sembra che i ricercatori in questione non abbiano rivelato affiliazioni con entità cinesi o finanziamenti provenienti da esse.
Queste relazioni non sono generalmente illegali di per sé, e in alcuni casi sono attivamente incoraggiate dalle università degli Stati Uniti. Il caso di Gang Chen rientra in questo schema. La principale accusa nei suoi confronti è di aver ricevuto milioni di dollari di finanziamenti non dichiarati dall’Università di scienze e tecnologia del sud della Cina, anche se in realtà ha sviluppato questa partnership su indicazione dell’Mit.
Il giro di vite del dipartimento della giustizia degli Stati Uniti appare discriminatorio a molti sino-americani. Il Committee of 100, un’organizzazione senza scopo di lucro che riunisce esponenti di spicco della comunità, sostiene che “la lealtà dei sino-americani è stata ingiustamente messa in discussione, e la comunità è stata gravemente calunniata da un eccesso d’indagini e dalla fretta di emettere una sentenza”.
Anche se la discriminazione è difficile da provare, le persone di origine cinese sono state prese specificamente di mira in passato. A metà degli anni dieci del duemila, diversi cittadini di origine cinese e naturalizzati statunitensi – Xi Xiaoxing, Sherry Chen, Guoqing Cao e Shuyu Liu – sono stati coinvolti in accuse di spionaggio, salvo poi essere scagionati. Ma nel frattempo la loro vita e la loro reputazione sono state distrutte. Uno studio delle incriminazioni effettuate ai sensi dell’Economic espionage act, tra il 1997 e il 2015, mostra che almeno un imputato asiatico su cinque accusato di spionaggio alla fine è stato assolto, rispetto a solo un imputato su dieci tra quelli con nomi occidentali.
Vantaggio competitivo
Anche se la China initiative fosse attuata in maniera non discriminatoria e si rivelasse efficace nel neutralizzare alcuni scienziati malintenzionati, l’amministrazione Biden non dovrebbe ignorare il lato negativo della faccenda. Quanti buoni scienziati rinunceranno a venire negli Stati Uniti? Ogni anno, in media, decine di migliaia di scienziati cinesi si recano negli Stati Uniti, arricchendo le università e le comunità di ricerca di cui entrano a fare parte. Considerando tutte le discipline Stem, si stima che 41mila studenti di master e 36mila dottorandi nelle università statunitensi siano cittadini cinesi. Questo rappresenta il 16 per cento del totale degli studenti laureati negli Stati Uniti in quelle discipline. La maggioranza – circa l’85-90 per cento – cerca di assimilarsi e ottenere la cittadinanza statunitense. Quando rimangono nel loro paese d’adozione, creano aziende, posti di lavoro e nuove tecnologie di cui traggono beneficio gli Stati Uniti. L’attrattiva delle università statunitensi è un fondamentale vantaggio comparativo di Washington nella sua competizione con Pechino.
Il governo cinese lo sa, e si è dato da fare per trovare modi con cui richiamare i suoi cittadini di talento. Adottando politiche che gettano ombre sugli scienziati nati in Cina, il governo degli Stati Uniti potrebbe in realtà aver fatto un favore alla Cina.
La scienza negli Stati Uniti dovrebbe essere fondata sull’equità e la trasparenza, e l’amministrazione Biden può usare il potere del governo per affrontare le violazioni di questi valori. Molti scienziati sono preoccupati per la pratica del “double dipping”– una ricerca finanziata da più borse contemporaneamente – che è il motivo per cui i professori sono tenuti a rivelare tutti i finanziamenti che ricevono alle loro università e alle agenzie degli Stati Uniti che forniscono borse di ricerca. Alcuni scienziati statunitensi potrebbero infatti avere relazioni eticamente compromettenti con entità cinesi.
I politici statunitensi devono ricordare che l’attrattiva scientifica del paese non risiede solo nel numero di citazioni o brevetti che genera
Il dipartimento della giustizia sostiene che [Charles Lieber](https://www.justice.gov/opa/pr/harvard-university-professor-indicted-false-statement-charges#:~:text=Lieber%20has%20served%20as%20the,in%20the%20area%20of%20nanoscience.&text=It%20is%20alleged%20that%2C%20unbeknownst,Technology%20(WUT), ex preside della facoltà di chimica di Harvard, ha ricevuto fino a cinquantamila dollari al mese dall’Università tecnologica di Wuhan in qualità di “scienziato strategico”. Secondo i documenti dell’accusa, una scuola secondaria cinese ha pagato a Gang Chen 355.715 dollari in spese di consulenza. Non è chiaro quali servizi siano inclusi in transazioni come queste, ma gli accordi non sembrano andare a vantaggio degli interessi di Harvard, dell’Mit o degli Stati Uniti.
L’amministrazione Biden e le università statunitensi dovrebbero rivedere i criteri in base ai quali considerare accettabili degli accordi finanziari con istituzioni straniere – in Cina o altrove – e come questi dovrebbero essere resi pubblici. Il dipartimento della giustizia sta saggiamente valutando l’opportunità di una sanatoria che permetterebbe alle persone di segnalare legami attuali con l’estero, evitando indagini sul proprio conto.
Gli Stati Uniti possono affrontare i conflitti d’interesse passati e futuri, e allo stesso tempo accogliere scienziati di tutte le provenienze. Un buon primo passo sarebbe una [revisione pubblica](http://public review of the China Initiative) della China initiative per permettere al congresso degli Stati Uniti e alla comunità scientifica di capire meglio come viene applicata e quante prove concrete di spionaggio e d’attività illecite da parte di Pechino abbia raccolto. I legislatori dovrebbero anche valutare se il lavoro del dipartimento della giustizia includa o meno delle tutele contro indagini e procedimenti discriminatori.
Una simile revisione sarebbe coerente con il recente rifiuto, espresso dall’amministrazione Biden, del razzismo contro gli statunitensi di origine asiatica. E farebbe sentire i ricercatori cinesi membri stimati della comunità scientifica degli Stati Uniti.
Nell’affrontare le sfide poste da una Cina in ascesa, i politici statunitensi devono ricordare che il potere dell’attrattiva scientifica del loro paese non risiede semplicemente nel numero di citazioni o brevetti che genera, ma nel numero di persone brillanti, provenienti da ogni paese del mondo, che vogliono stabilirsi qui a fare ricerca grazie al modo in cui ci occupiamo di scienza, parliamo di politica, e offriamo opportunità indipendentemente dal paese di origine di una persona.
In fin dei conti il governo degli Stati Uniti deve anche accettare che un certo volume di furti, plagi e perdita di proprietà intellettuale è il prezzo da pagare per l’approccio aperto del nostro paese. I dati e i codici informatici sono condivisi, i documenti di lavoro vengono fatti circolare, la ricerca è diffusa pubblicamente e la partecipazione è aperta a tutti. La forza di questo modello sta nella sua socialità: comunicando i risultati in modo ampio, gli scienziati ricevono commenti, collaborano e innovano ulteriormente. È questa la filosofia che ha spinto la scienza degli Stati Uniti più avanti rispetto al resto del mondo. Può darsi che di questo modello abusino soggetti malintenzionati – forse anche spie – ma funziona comunque molto meglio di un’alternativa più restrittiva. Se gli statunitensi isoleranno le nostre comunità scientifiche in nome della sicurezza, sacrificheremo il nostro più grande vantaggio e la nostra stessa essenza.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul sito dell”Atlantic.
Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede negli Stati Uniti. Ci si iscrive qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it