Ho trascorso buona parte dell’estate 2015 a raccontare il naufragio di Uber China, un progetto multimiliardario poi fallito in modo spettacolare. Quando nel 2016 Uber ha finalmente ammesso la sconfitta, la storia sembrava uscita dalla penna dalla sceneggiatrice Shonda Rimes.
Uber aveva eliminato uno a uno tutti i suoi avversari, ma la sua concorrente cinese Didi Chuxing non è stata da meno. Nel settore dei servizi di condivisione delle auto, Didi era l’unica azienda in grado di competere con Uber: è sostenuta da due delle maggiori aziende tecnologiche cinesi (Tencent e Alibaba) e da alcuni dei principali fondi speculativi del mondo. E anche se non ci sono prove che il governo di Pechino abbia reso più complicata la vita di Uber in Cina, Didi aveva comunque il vantaggio di giocare in casa.
La Cina è il principale mercato di ride sharing al mondo per numero di corse. Nel gennaio 2016, Didi ha annunciato di aver effettuato 1,4 miliardi di corse in un anno, circa il 40 per cento in più rispetto al miliardo di corse accumulate da Uber in otto anni. Quindi, nonostante le valutazioni, Uber non è la principale azienda del settore.
E il volto di Didi in questa battaglia era quello della presidente e direttrice operativa dell’azienda, Jean Liu. Una donna e una madre.
Quasi l’80 per cento delle aziende tecnologiche cinesi afferma di avere una o più donne in ruoli chiave
Mentre rispolveravo i miei vecchi contatti nella preparazione di quest’articolo, mi ha colpito il numero di donne alla guida delle aziende cinesi. Molte sono amministratrici delegate, direttrici operative, direttrici finanziarie o direttrici tecniche. Non lavorano solo nelle risorse umane o nel marketing.
Nuove opportunità
La Silicon Valley Bank, molto attiva in Cina, ha voluto indagare sulla differenza di genere tra il polo tecnologico cinese e quello statunitense. Ha fatto uno studio su circa novecento clienti tra Stati Uniti, Regno Unito e Cina, per valutare quale fosse il ruolo delle donne nelle sfere dirigenziali più alte. Il risultato è difficile da credere per chi non ha mai avuto a che fare con le aziende tecnologiche cinesi, ma è scontato per chi invece conosce bene il paese asiatico.
Quando è stato chiesto alle aziende tecnologiche degli Stati Uniti quante donne ricoprissero incarichi di alto livello, il 54 per cento ha risposto “una o più”. La stessa risposta è stata data dal 53 per cento delle aziende britanniche. In Cina a rispondere “una o più” è stato quasi l’80 per cento delle aziende.
Credo che questo dato non renda pienamente conto della situazione perché molte delle aziende cinesi con cui ho parlato hanno più di una donna dirigente di alto livello, e queste donne ricoprono ruoli molto diversi tra loro.
Per quanto riguarda i consigli d’amministrazione, solo il 34 per cento delle aziende statunitensi ha dichiarato di avere almeno una donna tra i consiglieri. Un numero che sale al 39 per cento per le aziende britanniche, ma che arriva al 61 per cento per quelle cinesi.
Fatto ancor più incredibile, quando è stato chiesto se avessero programmi per aumentare il numero di donne negli incarichi dirigenziali, il 67 per cento delle aziende statunitensi ha risposto di no, come l’80 per cento di quelle nel Regno Unito. In Cina, invece, il 63 per cento delle aziende ha risposto di sì. Le donne in Cina hanno una rappresentanza decisamente più alta ai vertici delle grandi aziende, eppure è più alto il numero delle aziende cinesi che possiedono programmi per l’uguaglianza di genere.
Per quanto riguarda il mondo degli investimenti ad alto rischio in Cina, la situazione è ancor più pronunciata, come ha riportato Bloomberg in un articolo del settembre 2016. Secondo le loro statistiche, tra le principali aziende degli Stati Uniti, le donne rappresentano solo il 10 per cento dei partner d’investimento e solo metà delle aziende ne hanno almeno uno che sia donna. In Cina, il 17 per cento dei partner sono donne e addirittura l’80 per cento delle aziende ha almeno una donna tra gli investitori.
Secondo il governo, le donne hanno fondato il 55 per cento delle nuove aziende tecnologiche del paese
Il fatto che le aziende con solo un partner donna abbiano il doppio delle possibilità di sostenere delle donne imprenditrici ha generato un circolo virtuoso a proposito del ruolo delle donne in questo settore. Il governo cinese sostiene che le donne abbiano fondato il 55 per cento delle nuove aziende legate a internet e che più del 25 per cento di tutti gli imprenditori siano donne.
Queste statistiche, naturalmente, provengono dal governo cinese. Ma la tendenza a far sedere le donne in molti più consigli d’amministrazione e a occupare un maggior numero di ruoli dirigenziali nelle aziende tecnologiche nasce altrove. È possibile che i dati reali non siano così alti, ma le donne stanno ottenendo molte opportunità praticamente in ogni settore del mondo della tecnologia in Cina.
Bloomberg cita l’esempio di Chen Xiaohong, poco avvezza ai rapporti con la stampa eppure in grado di mettere insieme, di recente, un fondo da cinquecento milioni di dollari. Negli Stati Uniti il principale fondo guidato da una donna vale meno della metà. In tutto Xiaohong controlla attività gestite per un valore superiore al miliardo di dollari.
La mia parte preferita dell’articolo di Bloomberg è quella su cosa pensa l’imprenditrice dell’essere madre:
In tutto questo, ha allevato tre bambini. Le sue abitudini lavorative sarebbero state insolite, per non dire inaccettabili, in occidente. Per tre anni ha portato ogni giorno il figlio in ufficio. E crede che aver cresciuto i suoi figli abbia contribuito a creare un legame con molti degli imprenditori che ha sostenuto. Il figlio piangeva e interrompeva le riunioni, ma questo non l’ha fermata. Le ha dato l’occasione di sviluppare una relazione più personale con gli investitori.
Approfondendo l’argomento, ho scoperto che molti sono d’accordo sul perché le cose sono così diverse per le madri lavoratrici in Cina. Una di queste è che il settore tecnologico in Cina è nuovo e offre enormi opportunità. Persone dai profili molto diversi e con alle spalle esperienze non convenzionali ottengono ruoli che non avrebbero in settori più consolidati.
Ma la spiegazione è anche di natura culturale. In parte risale al comunismo, quando Mao Zedong dichiarò che le donne erano “l’altra metà del cielo” e avrebbero dovuto lavorare duro come gli uomini per fare la loro parte. Anche la politica del figlio unico torna spesso nelle conversazioni su questo argomento: per 35 anni ha influenzato il modo in cui una persona su sei in tutto il mondo “nasce, vive e muore”, per citare il libro di Mei Fong, One child: the story of China’s most radical experiment (Figlio unico: la storia del più radicale esperimento della Cina).
Lasciatemelo dire nei termini più enfatici possibili: non importa quante donne cinesi diventano dirigenti, la politica del figlio unico non è stata una conquista per il femminismo. Esistono racconti orribili di aborti forzati al nono mese, di venti milioni di sterilizzazioni forzate, e della scomparsa di circa sessanta milioni di bambine cinesi: uccise, abortite oppure sequestrate e date in adozione.
Nonostante tutto questo, come scrive anche Fong, c’è un gruppo sociale che ha tratto beneficio da questa politica: le donne di città. “Se sei una donna nata dopo il 1980 in una grande città cinese, le tue possibilità di sopravvivere all’infanzia, di nutrirti a sufficienza e di proseguire gli studi sono decisamente più alte di quelle di una bambina cinese nata in un qualsiasi periodo precedente”.
Il risultato è che un numero record di donne in Cina studia all’università. Nel 2010 le donne rappresentavano più della metà degli studenti dei master universitari cinesi. La partecipazione femminile alla forza lavoro è tra le più alte in Asia, con il 70 per cento delle donne che lavorano oppure cercano impiego, rispetto ad appena il 25 per cento delle indiane.
Quello che la Cina sta creando nel suo settore tecnologico sono nuove figure e nuovi modelli di riferimento. E la cosa è più importante per la Silicon valley di quanto sarebbe stata un decennio fa, poiché oggi le aziende cinesi competono direttamente con quelle statunitensi. È stata un’azienda cinese a battere e ridimensionare Uber. E il volto pubblico di questa battaglia è stata una donna. È importante non solo per la Cina, ma anche per gli Stati Uniti.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato da The Atlantic.
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