Cosa cambia nel soccorso ai migranti nel Mediterraneo dopo la conclusione dell’operazione Mare nostrum? Per farsi un’idea, è di grande interesse ascoltare l’audizione dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della marina militare, nella seduta del 9 dicembre della commissione diritti umani presso il senato (qui c’è il video integrale della seduta).

Mare nostrum, decisa dopo le due stragi di migranti dei primi di ottobre dello scorso anno, ha operato dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, quando è stata sostituita da Triton. Nell’arco di un anno sono stati soccorsi in mare 156.362 migranti (in particolare siriani ed eritrei) in 439 operazioni di salvataggio. Il 99 per cento dei salvati è stato intercettato in alto mare. Ma, come ricorda l’ammiraglio De Giorgi, a muovere l’operazione non c’era solo un intento umanitario: ve n’era anche uno militare, che si è concretizzato con la consegna alle forze dell’ordine di 366 scafisti e la cattura di nove navi-madre (i pescherecci che hano trainato i barconi carichi di migranti fin nel cuore del Mediterraneo, e li hanno lasciati nelle acque di competenza di Mare nostrum in attesa dell’arrivo dei soccorsi).

Con l’introduzione di Triton, ammette De Giorgi, la filosofia dell’intervento è radicalmente cambiata. Lo dice da uomo di mare, e da capo di stato di maggiore. Triton si limita a controllare le coste e a pattugliare le acque territoriali. Viene meno il monitoraggio in alto mare, fin quasi davanti alle coste della Libia in fiamme, come avvenuto per tutta la durata dell’operazione precedente, con fregate e aeromobili. E viene meno, allo stesso tempo, quel lavoro di controllo sanitario che è stato svolto a bordo delle navi militari italiane. In pratica, con Triton si è ridotta del 65 per cento l’area controllata e sono stati depotenziati i compiti della marina: oggi sono stanziati 2,8 milioni al mese a fronte dei nove milioni precedenti.

Triton sarà operativa fino alla fine di gennaio, e poi sarà prorogabile. Ma il punto su cui riflettere – sottolinea lo stesso De Giorgi – è che con la chiusura di Mare nostrum gli sbarchi non sono affatto diminuiti, anzi sono aumentati. E di molto. Basta un dato a smontare le accuse mosse dai teorici dell’equazione più soccorsi uguale più sbarchi. Nel novembre del 2013, in piena Mare nostrum, sono arrivati in Italia 1.883 migranti.

Nel novembre di quest’anno, dopo la conclusione dell’operazione, sono stati registrati 9.134 arrivi, con un aumento netto del 485 per cento. “Di questi”, continua l’ammiraglio, “3.810 migranti sono stati soccorsi dalla marina e sottoposti a controllo sanitario prima dello sbarco nel corso di 22 eventi sar (ricerca e soccorso). I restanti 5.324 sono arrivati direttamente sul territorio nazionale senza controllo sanitario. Di questi ultimi, infatti, 1.534 sono stati intercettati e soccorsi dalla capitaneria di porto e 2.273 da mercantili commerciali non attrezzati per quel tipo di attività, ma obbligati dal diritto del mare a intervenire”.

Insomma, gli sbarchi continuano, ma in maniera più caotica e disordinata. Venendo meno una politica razionale di intervento, possono anche apparire più invisibili (salvo che sulla stampa locale delle regioni meridionali, o in occasione dell’ennesimo naufragio). Ma in realtà stanno aumentando, “e il contesto geopolitico attuale non consente di prevedere la loro attenuazione”.

Al di là dei numeri forniti da De Giorgi, Mare nostrum aveva segnato un mutamento radicale nell’impiego della marina militare nella gestione delle migrazioni. Rispetto al 1997, quando le fregate e le corvette furono impiegate in operazioni di inseguimento davanti alle coste albanesi (tanto da produrre, con lo speronamento della Sibilla, il naufragio della Katër i Radës, in cui morirono 81 persone), o rispetto al 2008-2009 (quando la marina si macchiò di gravi respingimenti in alto mare, consegnando i profughi alla polizia di Gheddafi), Mare nostrum aveva segnato un netto cambiamento. Non solo nei fatti, ma anche nelle parole.

E le parole, di fronte al caos del Mediterraneo, sono importanti tanto quanto i fatti. Basta confrontare quelle di De Giorgi con il silenzio o le ricostruzioni edulcorate fornite dai capi di stato maggiore che l’hanno preceduto in relazione ai gravi fatti del 1997 e del 2008-2009, per capire che una finestra si era aperta negli ultimi mesi.

Il rischio è che questa sia solo una parentesi straordinaria, aperta dalla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando i morti accertati furono 366, e già chiusa. Il rischio è che la marina torni nei propri ranghi, a svolgere operazioni molto meno efficaci.

Almeno fino a quando ci si renderà conto, di fronte all’ennesima strage, che Triton è un’arma spuntata. E che, piaccia o non piaccia, per governare il fenomeno bisogna andare molto al di là delle proprie acque territoriali, molto al di là delle 30 miglia di mare che circondano la Sicilia, la Calabria, la Puglia.

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