Una manifestazione contro l’uso dei droni a Washington, il 23 maggio del 2013 (Kevin Lamarque, Reuters).
Il 23 maggio Barack Obama ha tenuto un discorso sulla politica estera e di sicurezza alla National defence university. Ha spiegato a che punto è la guerra contro Al Qaeda e altri gruppi terroristi in varie zone del mondo, ha affrontato la difficile - e dolorosa - questione di Guantanamo e ha dato qualche chiarimento sulla guerra dei droni.
Nell’editoriale di oggi il New York Times lo definisce “il più importante discorso sul controterrorismo dai tempi degli attacchi terroristici del 2001”. Per la prima volta, spiega il quotidiano, un presidente ha affermato in modo chiaro e inequivocabile che la guerra pemanenente cominciata 12 anni fa è insostenibile per una democrazia e che in un futuro non troppo lontano bisognerà mettere fine al conflitto.
Per quanto riguarda gli aerei pilotati a distanza e i targated killings (gli omicidi mirati che gli Stati Uniti realizzano in varie regioni del mondo, soprattutto in Pakistan, Yemen, Afghanistan e Somalia), il discorso era molto atteso perché il presidente affrontava per la prima volta ufficialmente la questione. Non aveva alternative: un po’ perché sotto la sua presidenza l’uso dei droni è cresciuto notevolmente fino a diventare un’arma fondamentale della strategia antiterrorismo del paese; e anche perché negli ultimi mesi, soprattutto dopo la nomina di John Brennan alla guida della Cia, l’opinione pubblica statunitense ha cominciato a chiedere in modo sempre più insistente chiarimenti sugli aspetti poco chiari di questa guerra - soprattutto sul Pakistan -, e il presidente non poteva più aggirare le domande come aveva fatto durante il suo primo mandato.
I momenti principali del discorso di Obama. (The Washington Post)
In sintesi, sui droni Obama ha annunciato due riforme. Per prima cosa ha promesso di cambiare i parametri usati per decidere chi e dove attaccare; significa, per esempio, che non saranno più consentiti i signature strike, gli attacchi che vengono condotti in base all’attività che un individuo sta svolgendo e non perché se ne conosce l’identità (come succede invece con i personal strike). Si tratta di una pratica che è stata molto contestata, soprattutto in Pakistan, dove ha causato la morte di decine di civili. Obama ha anche detto che verranno colpite ed eliminate solo le persone che rappresentano “una minaccia continua e imminente ai cittadini americani”.
Come seconda cosa, Obama ha detto di voler trasferire gradualmente il potere decisionale sugli omicidi mirati dalla Cia all’esercito. Questa decisione riguarda le operazioni in Pakistan, che sono gestite dai servizi segreti, ma non quelle in Yemen e in Somalia, che sono sotto il controllo del Comdando congiunto delle operazioni speciali, quindi sotto l’esercito.
Sul primo punto sono abbastanza scettico. O meglio, non credo che le parole di Obama abbiano un significato concreto. Dire che d’ora in poi verranno colpiti solo obiettivi che rappresentano una minaccia per i cittadini americani non ha molto senso. Prima di tutto, perché i criteri per stabilire chi rientra in questa definizione poggiano su basi molto scivolose: la Casa Bianca, la Cia, il Pentagono hanno delle prove certe e inconfutabili che i membri di Al Qaeda o militanti taliban che agiscono nelle Nord Waziristan, in Pakistan, stiano pianificando degli attacchi (imminenti) in territorio americano? Oppure la minaccia riguarda le basi statunitensi in Afghanistan, che negli ultimi anni sono state più volte attaccate dai militanti islamisti? In entrambi i casi, credo che la risposta sia no.
Lo stesso discorso vale per i militanti dell’organizzazione somala Al Shabaab. Questo gruppo islamista ha come obiettivo creare nel paese uno stato fondato sulle leggi islamiche, per questo motivo contesta e combatte il governo centrale sostenuto dall’occidente. I suoi militanti rappresentano una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti tale da giustificare una reazione? Anche qui, credo di no.
Senza contare che spesso gli attacchi dei droni avvengono in luoghi di cui i vertici militari degli Stati Uniti hanno una conoscenza molto limitata, proprio perché non avendo agenti sul campo devono affidarsi a fonti e ad analisi che spesso si rivelano inesatte o totalmente sbagliate.
Sul secondo punto sono più ottimista. Il passaggio di comando dalla Cia all’esercito garantirebbe almeno in parte la trasparenza che finora non c’è stata. Secondo la legge statunitense, la Cia non è tenuta a rendere pubbliche le sue operazioni (ovviamente, visto che sono segrete) né deve rispondere o dare conto al parlamento delle sue attività. Al contrario dell’esercito, che è sottoposto alla supervisione del potere legislativo oltre che al comando del presidente. Quindi la buona notizia è che d’ora in poi ne dovremmo sapere di più degli attacchi dei droni in Pakistan.
Resta il problema di fondo di una guerra basata su queste armi, che mette in discussione una delle frasi più significative pronunciate da Obama nel suo discorso, cioè che bisognerà mettere fine alla guerra al terrorismo in un futuro non troppo lontano. I droni sono armi relativamente economiche, sono sicuri, perché riducono a zero i rischi per i soldati, e sono più efficaci delle armi tradizionali. Per questi motivi gli attacchi a distanza sono cresciuti così tanto negli ultimi anni. Il problema è che è aumentato anche il numero di militanti islamici e terroristi in grado di portare una minaccia agli Stati Uniti o ai suoi alleati in giro per il mondo, ed è difficile immaginare che da qui a qualche anno le kill list, le liste degli obiettivi da eliminare, possano essere accantonate.
Tempo fa Bruce Riedel, ex analista della Cia e consulente per l’antiterrorismo dell’amministrazione Obama, ha riassunto brillantemente il problema parlando al Washington Post: “Il problema dei droni è che sono un po’ come i tagliaerba. Devi falciare il prato in continuazione, e quando smetti l’erba ricresce subito”. I droni, cioè, potrebbero essere lo strumento di una guerra infinita.
Qui trovate il testo integrale del discorso di Obama.
Bloomberg Businessweek ha pubblicato una splendida infografica interattiva che mostra la quantità di attacchi - e di vittime - dei droni americani in Pakistan, Yemen e Somalia, con un occhio particolare al primo paese.
Alessio Marchionna lavora a Internazionale dal 2009. Editor delle pagine delle inchieste, dei ritratti e dell’oroscopo. È su twitter: @alessiomarchio
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