Facciamo un bilancio dopo dieci giorni. Il 14 novembre è successo qualcosa di clamoroso di cui pochi hanno fatto finta di accorgersi e a cui pochi hanno dato il giusto valore. I precari italiani per la prima volta sono riusciti nell’impresa di bloccare il paese protestando contro l’austerità e la disoccupazione giovanile. Lo sciopero sociale è apparso nel titolo di prima pagina del Corriere della Sera, ma le televisioni hanno puntato i riflettori sulla manifestazione di Milano contro il governo guidata dal segretario della Fiom Maurizio Landini e dalla segretaria della Cgil Susanna Camusso, riportando il discorso dentro un frame vecchio di dieci anni: articolo 18 sì contro articolo 18 no.

Ma chi c’è dietro il successo inaspettato del 14 novembre?

Quando sui mezzi di informazione si parla di movimenti, le mistificazioni abbondano. A leggere Dario Di Vico sul Corriere della Sera, sono stati i Cobas del sessantottardo Piero Bernocchi. Eppure bastava avere un minimo di dimestichezza con i social network, per rendersi conto che la giornata di mobilitazione autoconvocata in tutte le città italiane era stata preparata con cura da una rete di attivisti, collettivi e centri sociali, soprattutto romani, ma anche milanesi, bolognesi, padovani, torinesi, napoletani, nello #strikemeeting di metà settembre.

In quel weekend, negli incontri all’università Sapienza di Roma e in centri sociali come Laboratorio Zero, Acrobax e Strike gli attivisti hanno riannodato il filo rosso delle lotte contro la precarietà degli anni duemila (EuroMayDay, San Precario) per proiettarle finalmente nel nuovo contesto della Grande recessione, con la gioventù dell’Europa meridionale per metà disoccupata. Uno sciopero metropolitano per il basic income e contro il Jobs act. Per farla finita con gli stage non pagati: zero lavoro gratis, a cominciare dall’Expo di Milano.

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È così che è nato lo sciopero sociale, a cui subito hanno aderito i sindacati di base (Usb, Cub, Usi e, certo, i Cobas). E siccome l’iconografia dice più di cento slogan, i manifestanti hanno creato degli avatar stilizzati e colorati alla lego-playmobil per rappresentare i tanti volti del precariato: addetto al call center, infermiera, ricercatore, programmatrice. Molti attivisti hanno ripreso quelle icone nel proprio profilo twitter e facebook. E il tam tam è partito. Bloccheremo l’Italia, avevano detto gli attivisti all’assemblea Blockupy di Bruxelles. Tedeschi e spagnoli della sinistra europea avevano storto il naso. Hanno avuto torto.

Lo sciopero sociale non sarebbe stato così dirompente (Roma bloccata, sabotaggio a Genova; scontri a Milano, Padova, Pisa; la tangenziale di Napoli occupata dal corteo eccetera) senza la partecipazione dei collettivi studenteschi. Secondo la perenne logica del riot porn, in effetti i mezzi d’informazione hanno dato più spazio alle cariche della polizia e della guardia di finanza a Milano contro il corteo autorizzato vicino all’università Statale e al pestaggio a tradimento di liceali nell’androne dell’arcivescovado in piazza Fontana, invece che alla Roma di #incrocialebraccia: la capitale bloccata da studenti, precari e lavoratori.

Ora si tratta di vedere se l’Italia precaria si è risvegliata al pari di Spagna e Grecia contro la crisi economica. Ma non sarà la sinistra al governo a decidere. La lezione della rivoluzione democratica e ugualitaria che agita il mondo dal 2011 è che la dinamica della politica e della società dipende dai movimenti, la loro mobilitazione, le loro rivendicazioni.

In ogni caso, le agitazioni messe in moto dallo sciopero sociale sono condivise all’interno di una rete europea (il 14 novembre gli intermittents francesi hanno occupato la sede dell’Ocse a Parigi): è la rete di Agora99, Blockupy, D1920, che comprende attivisti, antifascisti e collettivi noborder e tutti gli spazi sociali che hanno partecipato ad azioni coordinate in tutta Europa.

La rete D1920, composta da studenti, agricoltori, impiegati pubblici e sindacalisti, è riuscita a occupare la sede della Commissione e a bloccare il quartiere europeo di Bruxelles il 19 dicembre 2013. Per quanto riguarda Blockupy, in attesa di una data certa per l’inaugurazione del nuovo grattacielo della Banca centrale europea a Francoforte, ha organizzato un Blockupy Festival sul Meno che è partito il 20 novembre ed è durato tutto il weekend.

Ma l’appuntamento più promettente è quello del prossimo 19 dicembre a Bruxelles, contro le lobby finanziarie che dettano le direttive della Commissione europea.

Alex Foti, attivista, creatore di EuroMayDay e fondatore di MilanoX. Ha scritto Anarchy in the EU (Agenzia X) e Essere di sinistra oggi (Il Saggiatore).

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