Il 25 novembre gli Stati Uniti hanno festeggiato il giorno del ringraziamento mangiando milioni di tacchini ripieni. La festa commemora un banchetto che i coloni britannici della Mayflower tennero nel 1621 per celebrare un raccolto.

La loro colonia si chiamava Plymouth. Secondo una versione raccontata ai bambini, parteciparono alla festa anche gli indiani wampanoag, che avevano contribuito a coltivare la terra. L’American indian museum di Washington aggiunge però un dettaglio importante: gli indiani di Plymouth furono decimati dalle epidemie che si diffusero dopo il contatto con l’uomo bianco.

Ho chiesto a un giovane cherokee cosa ne pensano gli indiani del Thanksgiving. “Noi lo chiamiamo Thankstaking”, mi ha risposto. Una donna di 34 anni della tribù shoshone ha aggiunto che solo un nativo americano su dieci è sopravvissuto alle epidemie e al genocidio.

La donna ha una tessera che indica la sua appartenenza alla tribù: lei è per metà shoshone, perché la madre è figlia di immigrati irlandesi (anche gli irlandesi sono vittime della colonizzazione britannica). Sua figlia, che ha un padre filippino, non è shoshone perché la tribù applica le regole severe del governo federale.

“Per definire una persona nera è sufficiente una goccia di sangue, ma non ci sono persone indiane per un quarto”, mi ha spiegato. “I neri erano forza lavoro per i bianchi, che perciò volevano aumentarne il numero. Noi invece diamo fastidio perché chiediamo la terra”.

*Traduzione di Nazzareno Mataldi.

Internazionale, numero 874, 26 novembre 2010*

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