Buone notizie: l’8 febbraio il grande sindacato Histadrut ha proclamato uno sciopero generale in Israele, il primo da sei anni. L’obiettivo è combattere il diffuso fenomeno del lavoro in subappalto. Il sindacato chiede l’assunzione diretta di 400mila lavoratori, in maggioranza impiegati nella pubblica amministrazione, a livello sia locale sia centrale.
Il governo sembra disponibile a migliorare le loro condizioni, ma senza vietare il subappalto. Non c’è da stupirsi, perché lo stato è il principale beneficiario di una forma di lavoro che permette di ridurre la spesa pubblica. Inoltre, le aziende che forniscono la manodopera hanno stretti legami con il potere. Le donne sono il 65 per cento tra i lavoratori in subappalto e gli immigrati sono il 50 per cento. Si occupano principalmente di pulizia, sicurezza, scuola e servizi sociali.
I loro stipendi sono scandalosamente bassi, spesso sotto la soglia del salario minimo. Le aziende fornitrici sono famose per i ritardi nei pagamenti e per il rifiuto di concedere i sussidi di maternità e le indennità per malattia. Se un lavoratore osa ribellarsi rischia il licenziamento. Per qualcuno è una gallina dalle uova d’oro, ma per molti altri è una forma moderna di schiavitù.
Il fenomeno è diffuso da più di vent’anni, ma solo di recente i sindacati hanno deciso di affrontare il problema. Fino a poche settimane fa la lotta la portavano avanti gruppi di attivisti e di volontari, che accusavano i sindacati di ignorare i problemi reali del paese.
*Traduzione di Andrea Sparacino.
Internazionale, numero 935, 10 febbraio 2012*
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