Alle due del pomeriggio del 9 ottobre avevo finito di scrivere un articolo su Khirbet Zanuta, il villaggio nel sud della Cisgiordania di cui vi avevo parlato il 19 luglio. Ricordate? È quello sottoposto a provvedimento di sfratto totale (uno dei tanti, dovrei aggiungere). Questo articolo doveva essere pubblicato allora, in estate, pochi giorni prima che i giudici dell’alta corte di giustizia discutessero la petizione degli abitanti contro la loro espulsione forzata. Ma la seduta è stata rinviata, e anche il mio articolo. Alla fine la seduta è stata fissata per il 14 ottobre.
Stavo per cominciare a scrivere il mio articolo per Internazionale quando mi è arrivato un messaggio: alcuni coloni avevano attaccato il villaggio di Jaloud (ecco perché il mio articolo di oggi è stato pubblicato solo online).
A Jaloud, 15 anni fa, ho documentato la mutilazione di circa 300 alberi di ulivo. Gli insediamenti israeliani della zona si stavano espandendo in modo illegale (perfino per le permissive leggi d’Israele), e i coloni erano noti per il loro estremismo. Ricordo bene il proprietario degli alberi segati e fatti a pezzi da persone che la polizia non si è mai preoccupata di identificare. Si chiama Fawzi Ibrahim e non l’ho mai più rivisto, ma ho seguito le sue (cattive) notizie grazie a un avvocato di Rabbis for human rights. Da allora le violenze contro i palestinesi a Jaloud sono aumentate.
Fino al 9 ottobre, quando Rabbis for human rights ha diffuso la notizia di un incendio doloso nell’uliveto del villaggio e di un attacco contro una scuola locale. Ho immaginato che probabilmente anche gli ulivi di Fawzi Ibrahim erano stati colpiti di nuovo. Un’ora più tardi, dopo aver guidato lungo la strada che porta a Jaloud, ho scoperto di non essermi sbagliata.
Ibrahim si ricordava di me. Ha risposto alle mie domande con lo stesso atteggiamento contemplativo che ricordavo: “Un uomo che perde la sua fonte di sostentamento perde anche la ragione”, mi ha detto. Dal 1998 al 2001 ha subìto altri tre attacchi contro i suoi alberi, poi l’esercito ha impedito agli abitanti del villaggio l’accesso ai loro terreni. Fino al 2007 non hanno potuto lavorare la terra né raccogliere le olive. Dopo il 2007 hanno avuto il permesso di tornare, ma solo due volte all’anno, per pochi giorni, dopo essersi messi d’accordo con l’esercito. Questo non può garantire che i coloni non attaccheranno, e quindi limita gli spostamenti dei palestinesi. In 15 anni il villaggio è stato attaccato almeno 25 volte.
In questi anni Fawzi ha insegnato scienze alle superiori, ha avuto due infarti e un intervento alla cistifellea. E gli fa male la schiena. Ha 56 anni ma ne dimostra almeno 70. “Quante volte hai denunciato questi attacchi?”, gli chiedo mentre il muezzin richiama i fedeli per la preghiera della sera. “Come faccio a saperlo?”, mi ha risposto. “Forse 1967”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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