In questi giorni la realtà in cui viviamo sembra andare “avanti veloce” e allo stesso tempo “indietro veloce”. Avanti veloce verso l’inferno e indietro veloce verso la follia. Non fraintendetemi: il presente ha già i suoi elementi infernali ed è caratterizzato dalla dose standard di follia connaturata alla società israeliana attuale, ghettizzata e militarizzata. Ma la routine quotidiana in qualche modo anestetizza ogni senso di urgenza.
Gli eventi si susseguono a ritmo forsennato. Il 12 giugno tre ragazzi israeliani, studenti di scuole religiose della Cisgiordania, sono scomparsi mentre tornavano a casa facendo l’autostop. I servizi segreti israeliani e le autorità militari non hanno condiviso con l’opinione pubblica la loro teoria, basata sulle prove raccolte sul campo, secondo cui i tre erano stati probabilmente assassinati poco dopo il rapimento. Alcune informazioni riservate (comunicate dall’Autorità palestinese) hanno indicato come possibili responsabili due uomini di Hamas, scomparsi dalle loro case. La ricerca dei tre ragazzi ha offerto all’esercito e ai servizi segreti l’opportunità di avviare una massiccia campagna di repressione. Centinaia di palestinesi sono stati arrestati e almeno duemila case sono state perquisite. I militari hanno sequestrato computer, terrorizzato bambini nel cuore della notte, bloccato strade e confiscato permessi di viaggio e di lavoro. Un’economia formata da 70mila persone è stata completamente paralizzata, mentre i politici e i mezzi d’informazione alimentavano l’odio. I coloni hanno approfittato della situazione per sradicare alberi, costruire avamposti, colpire i palestinesi e inneggiare alla vendetta. La Striscia di Gaza non è stata risparmiata: i raid aerei e gli omicidi mirati si sono intensificati, mentre giovani palestinesi hanno ricominciato a lanciare pietre. L’esercito ha demolito le case di alcuni palestinesi sospettati di aver partecipato ad attività armate, seguendo una logica di punizione collettiva senza processo che negli ultimi 47 anni ha contribuito ad alimentare la resistenza. I politici israeliani hanno chiesto di intensificare la costruzione di insediamenti e di attaccare Gaza. Ancora e più di prima.
Il 30 giugno sono stati ritrovati i corpi dei tre ragazzi. “Li hanno uccisi perché erano ebrei”, hanno urlato i nostri leader. Occupazione? Oppressione? Furti di terra e acqua? Espulsioni? Tutto questo non c’entra nulla? Martedì, mentre venivano celebrati i funerali dei tre ragazzi, a 30 chilometri di distanza centinaia di giovani di destra chiedevano vendetta e morte marciando per le strade di Gerusalemme in cerca di palestinesi da linciare (la polizia israeliana è intervenuta, questo va detto).
La mattina del 2 luglio, mentre camminava verso la moschea, un ragazzo palestinese di 16 anni residente a Gerusalemme Est è stato rapito da alcune persone a bordo di un’auto nera. Qualche ora dopo il suo corpo senza vita è stato ritrovato nella parte ovest della città. A quanto pare gli ebrei di destra hanno messo in pratica i loro propositi di vendetta. Mentre vi scrivo (il 2 luglio a mezzogiorno) a Gerusalemme Est sono in corso scontri con la polizia, da sempre considerata come uno strumento dell’occupazione israeliana. Anche senza schiacciare il tasto “avanti veloce”, la nostra realtà deve fare i conti con la sua natura più infernale. Ancora una volta.
Traduzione di Andrea Sparacino
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