“Sei già in pigiama o vuoi raggiungerci al ristorante?”. Erano le dieci di sera del mio secondo giorno in città dopo due mesi di assenza, e quando ha squillato il telefono ero convinta che fosse il mio amico M di Gaza. Invece era K, che dieci minuti dopo è passato a prendermi.

È raro che gli esponenti dell’Autorità palestinese mi chiamino per darmi informazioni su cui lavorare. K, un giovane funzionario, è sempre stato disponibile. Per questo motivo, quando mi chiama, non posso dire di no. Il “pezzo grosso” che avrei incontrato al ristorante, invece, non è mai stato altrettanto disponibile. Almeno non con me.

Al ristorante il pezzo grosso ha detto, con tono di rimprovero, di aver provato a contattarmi più volte mentre ero via. È una vecchia abitudine dell’Olp: i combattenti per la libertà che lavorano a tutte le ore pretendono che i giornalisti si presentino immediatamente quando sono convocati.

Comunque sia, ho gradito la spontaneità della conversazione e anche l’informazione, che era molto importante. “Non male questa notizia che mette in cattiva luce sia l’Autorità palestinese sia Israele, eh?”, mi ha chiesto il pezzo grosso con tono scherzoso. La verità è che non era affatto contro l’Autorità palestinese, ma a questo pezzo grosso piacciono i sottintesi e ho letto le sue parole come un’ammissione del fatto che avevo ragione, vent’anni fa, a mettere l’Olp in guardia sulle intenzioni degli israeliani riguardo agli accordi di Oslo.

Traduzione di Andrea Sparacino

Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2015 a pagina 24 di Internazionale, con il titolo “Il funzionario e il pezzo grosso”. Compra questo numero | Abbonati

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