È arrivato il tempo delle alleanze, si fanno i nomi dei ministri, si parla di summit, negoziati, accordi internazionali. Ma il vero terremoto c’è già stato, il primo e forse non l’ultimo di un anno durante il quale andranno alle urne altri due paesi in difficoltà della periferia sud dell’Europa: il Portogallo e, soprattutto, la Spagna.

Con la vittoria di Syriza, in Grecia è arrivato a compimento quel processo che tre anni fa cominciò a sgretolare le fondamenta del sistema bipartitico che aveva retto il paese dalla fine del regime dei colonnelli, nel 1974, fino all’inizio della crisi. Il 25 gennaio i tasselli del mosaico sono saltati, tranne forse quello degli eterni e immutabili comunisti del Kke: avevano il 5,6 per cento dei consensi nel 1996, hanno praticamente gli stessi voti oggi. Per il resto tutto sembra irriconoscibile: oltre a dare una vittoria netta a un partito che solo sei anni fa aveva il 4,6 per cento, le urne hanno confermato che i neonazisti di Alba dorata sono ormai una realtà consolidata del panorama politico e hanno sancito il successo di un altro nuovo partito, il centrista To potami, che potrebbe diventare l’ago della bilancia di future alleanze.

Soprattutto, però, il voto ha finalmente ridimensionato i due partiti responsabili delle politiche che sono alla base di gran parte dei problemi attuali del paese: i socialisti del Pasok della dinastia Papandreou, spaccati in due dalla scissione dell’ex premier George – Papandreou ovviamente – e appena sopra la soglia di sbarramento, e i conservatori di Nea demokratia, ancora la seconda forza del paese ma ormai lontani dal potere.

La notizia che una classe dirigente corrotta e nepotista – colpevole di aver pesantemente falsificato i conti pubblici e di aver tollerato, se non incoraggiato, la colossale evasione fiscale – sia stata quasi azzerata dovrebbe essere motivo di soddisfazione per i greci e per gli europei, di qualsiasi orientamento politico.

C’è poi la questione delle reazioni che la vittoria di Tsipras ha suscitato in Europa. A quanto pare, tra chi ha accolto come una novità positiva il trionfo del fronte contro l’austerità ci sono Marine Le Pen e la Lega nord di Salvini, le cui politiche in materia di immigrazione e integrazione degli stranieri non potrebbero essere più diverse da quelle di Syriza. Il punto, è stato detto chiaramente, era assestare un bello schiaffone a Bruxelles. Tuttavia, a osservare queste singolari analogie si rischia di confondere l’antieuropeismo con il rifiuto del rigore imposto dalla troika.

L’alleanza tra Syriza e la destra populista e antiausterità dei Greci indipendenti, di cui si parla da prima del voto, è diventata realtà. Una soluzione che lascerà l’amaro in bocca a buona parte della base del partito e dei suoi sostenitori nella sinistra europea. In attesa di capire come certe inevitabili differenze saranno superate, per adesso possiamo sperare che Tsipras si confermerà il leader che le sue recenti prese di posizione fanno immaginare: non un populista antieuropeo, ma un europeista convinto che un’Europa solidale e coesa non possa più tollerare le sofferenze inflitte alla Grecia negli ultimi anni.

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