Una misura punitiva. Un modo per dire alle donne: voi non contate nulla, decidiamo noi al vostro posto. E alle famiglie intere, madri e padri: la vostra sofferenza non c’interessa. È difficile raccontare altrimenti la sentenza della corte costituzionale polacca che il 22 ottobre ha dichiarato che l’aborto è contrario alla costituzione anche nei casi di gravi malformazioni del feto, rendendo ancora più restrittiva una legge tra le più severe d’Europa. Di fatto è stata cancellata qualsiasi possibilità di interrompere la gravidanza legalmente.
L’anno scorso in Polonia sono stati effettuati 1.110 aborti legali. Quelli dovuti a malformazioni, malattie letali e alterazioni genetiche del feto erano 1.074. Tra questi, non più di un terzo riguardava la sindrome di Down, a dimostrazione che l’argomento spesso avanzato dai pro-life – secondo cui gli aborti per problemi al feto hanno come oggetto essenzialmente questo tipo di trisomia e non sono altro che uno strumento di eugenetica – non sta in piedi.
D’ora in poi, in Polonia le donne potranno ricorrere all’interruzione di gravidanza esclusivamente in caso di rischio per la propria vita e se la gravidanza è frutto di un atto criminale, come stupro o incesto. Il 2 per cento degli aborti praticati nel paese. Che a loro volta, secondo le stime di diverse associazioni e ong che si occupano di maternità e pianificazione familiare, sono appena l’1 per cento delle 100mila e più interruzioni di gravidanza che ogni anno sono eseguite in Polonia. In modo clandestino, ovviamente. A queste cifre vanno aggiunte le migliaia di donne che vanno ad abortire all’estero.
Il governo ha raggiunto il suo obiettivo politico senza dover passare per il parlamento, dove l’opposizione sarebbe stata senz’altro molto dura
La logica di questo provvedimento l’ha illustrata con brutale chiarezza Jarosław Kaczyński, il leader di Diritto e giustizia (Pis), il partito ultraconservatore e cattolico che governa la Polonia dal 2015, in un’intervista rilasciata nel 2016 all’agenzia di stampa Pap: “Ci batteremo per assicurare che anche le gravidanze più difficili, nelle quali il bambino è condannato a morte sicura o ha gravi malformazioni, termineranno con la nascita. Così il bambino potrà essere battezzato e sepolto con un nome”. La violenza di un parto imposto per legge, il dolore di dover veder nascere un figlio malato, che sarà seppellito poche settimane dopo, evidentemente non hanno nessun peso nel mondo immaginato dall’ex premier polacco.
Sotto il profilo politico, invece, il processo che ha portato al pronunciamento dei giudici costituzionali è più tortuoso. I primi progetti per rendere più restrittive le leggi sull’aborto sono stati presentati in parlamento nel 2016 e nel 2018. E in entrambi i casi il governo ha dovuto fare marcia indietro per le proteste organizzate dalle donne polacche. Ma le pressioni della chiesa cattolica polacca, sempre più ossessionata da tutto quello che riguarda la morale sessuale e la famiglia, non si sono fermate. E nel 2019 119 deputati, soprattutto del Pis, ma anche dell’estrema destra di Konfederacja e del gruppo centrista Psl-Kukiz’15, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge che consentiva di abortire in caso di malformazioni del feto. La corte costituzionale – il primo organo a cadere sotto il controllo del Pis, non senza polemiche e strascichi legali, dopo la vittoria alle elezioni del 2015 – gli ha dato ragione.
Il governo, insomma, ha raggiunto il suo obiettivo politico senza dover passare per il parlamento, dove l’opposizione sarebbe stata senz’altro molto dura: una dinamica che illustra perfettamente i rischi legati al disprezzo dello stato di diritto e del principio della separazione dei poteri che da anni è motivo di scontro tra i paesi nazionalisti e conservatori dell’Europa centrale, Polonia e Ungheria soprattutto, e l’Unione europea.
Dopo la sentenza gli antiabortisti hanno festeggiato. Ma poche ore più tardi decine di migliaia di donne polacche erano già in piazza a protestare, nonostante i divieti e le restrizioni per contenere la seconda ondata di contagi da covid-19. A Varsavia, a Poznan, a Breslavia, a Stettino, a Katowice, a Cracovia. “I fondamentalisti religiosi hanno appiccato l’incendio e poi sono corsi a nascondersi nelle tane dei topi come dei vigliacchi”, ha commentato la scrittrice Małgorzata Rejmer.
L’impressione è che stavolta Kaczyński e i suoi abbiano davvero tirato troppo la corda. L’elettorato di Pis non è infatti un blocco omogeneo di integralisti, e decisioni come quella sull’aborto, frutto di un fervore ideologico che non è condiviso dalla maggioranza dei polacchi, alieneranno al governo una larga fetta dei suoi sostenitori più moderati. La frattura nella società polacca, che è già preoccupante, si farà ancora più profonda, la società civile si organizzerà con rinnovata determinazione e la mobilitazione delle donne sarà tenace, condivisa e si svilupperà con forme e strumenti nuovi.
“Come in guerra, ci sosterremo a vicenda”, scrive Agata Passent su Polityka. “La figlia tornerà dalla madre. La ragazza andrà a vivere dall’amica. .(…) Quello che conta è la fiducia, il calore, la sicurezza, il tocco della mano di una donna. Le fantasie sadiche dei fanatici religiosi sui tormenti delle donne incinte non si avvereranno, perché le donne non si faranno tormentare. Daranno semplicemente vita a un mondo diverso per se stesse”. E alla fine, forse, i vescovi, Kaczyński, la presidente della corte costituzionale Julia Przyłębska, il premier Mateusz Morawiecki e gli estremisti di Konfederacja si accorgeranno che il paese che vogliono plasmare a proprio piacimento è più complesso e meno docile di quanto credono. E, soprattutto, che non è disposto a farsi dire come bisogna vivere.
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