Ci sono state le elezioni. Il risultato si è rivelato tanto imprevisto quanto destabilizzante. Adesso si brancola nel buio, o, più precisamente, in una nebbia fitta fitta da cui ogni tanto esce un gesto, un’immagine, un grido. Tracce e frammenti difficili da interpretare e da mettere insieme. È un paesaggio fatto più di vuoti che di pieni.

Non si può non comunicare: è il primo assioma della comunicazione secondo Watzlawick. Significa che comunichiamo sia dicendo qualcosa sia non dicendo niente, sia facendo qualcosa sia non facendo niente: quando, in un qualsiasi contesto, due entità si trovano a essere in relazione, è il complesso del comportamento di ciascuna che trasmette messaggi all’altra. E, poiché qualsiasi atto (immobilità e silenzio e rifiuto di comunicare compresi) è una forma di comportamento e ha valore di messaggio, qualsiasi atto trasmette effettivamente un messaggio.

Non così paradossalmente, ogni sottrarsi all’interazione che caratterizza il comunicare è una forma di comunicazione dirompente. Ho letto da qualche parte – e purtroppo non riesco a ritrovarne traccia, e non so se si tratti di una storia o di una leggenda – di un Lacan immobile, in silenzio di fronte all’aula stracolma, per un’intera ora di lezione. Sconcerto e panico tra gli studenti.

La storia di Lacan mi è tornata in mente vedendo la foto rubata del Grillo-marziano intabarrato nella giacca a vento, su una spiaggia livida di luce invernale. Neanche un’espressione del volto offerta alla decodifica: niente di niente. In termini di relazione, è qualcosa di molto più pesante del rifiuto esplicito di una tesi o una posizione dell’interlocutore. È un mettersi in una posizione di superiorità (one-up) negando del tutto all’altro perfino lo status di interlocutore possibile. E immagino che l’intenzione fosse proprio quella.

Non c’è da stupirsi che allo sconcerto faccia seguito una vertigine esegetica e interpretativa che si innesta su questo nulla: tutti noi abbiamo costantemente bisogno di interpretare la realtà per capire come prendere decisioni. La nostra mente è una fantastica macchina per decodificare indizi. Se non ce ne sono, o se quelli disponibili risultano, per qualsiasi motivo, insoddisfacenti o incongruenti con le nostre aspettative, continuiamo a cercare e a cercare, avvitandoci in ragionamenti sempre più esoterici (e a rischio, come si è visto, di prendere cantonate).

Così, rari segnali vengono rimescolati e riconfigurati come se fossero un mazzo di tarocchi. Spero solo che a furia di rimescolare non venga fuori qualche carta troppo nefasta. E neanche quella ambiguissima dell’Appeso, che se appare capovolta invita all’essere flessibili e adattevoli e pazienti e prudenti in presenza di un cambiamento radicale. Ma se appare dritta indica perdita di contatto con la realtà, autodistruzione masochistica, vittimismo ed errori, intrighi, apatia, sacrifici inutili.

E qui, non dimentichiamocelo, quelli che stanno appesi siamo tutti noi.

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