Non so se avete mai sentito parlare dell’esperimento del marshmallow. È famosissimo, l’ha attuato, verso la fine degli anni sessanta, Walter Mischel, psicologo e docente all’università di Stanford.
Devo premettere che, come bonaria mamma italiana, trovo che l’esperimento del marshmallow possa provocare una stretta al cuore. Piccola, però. D’altra parte, questo non vuol dire che l’esperimento in sé non abbia valore e che non possa insegnarci qualcosa di utile.
Ed ecco di che si tratta. L’esperimento riguarda la capacità dei bambini (di quattro-sei anni) di rimandare la gratificazione immediata per ottenerne una maggiore in seguito, ed è molto semplice: a ciascun bimbo viene offerto un dolcetto, può sbafarselo subito ma, se riesce a rimanere per un quarto d’ora senza mangiarlo, ne riceverà un secondo.
Puntuali strategie diversive
Qui un video mostra quel che succede, e ci dà un’idea delle strategie messe in atto dai piccolini per resistere al marshmallow, anche se si trovano soli, in una stanza vuota, e senza nient’altro di interessante da fare.
Mischel spiega che ci sono due parti nel nostro cervello messe in conflitto dall’esperimento del marshmallow: una “parte calda” (il sistema limbico) che pretende gratificazioni immediate, e un’altra (la corteccia prefrontale) che invece è “fredda e orientata a raggiungere obiettivi”. Il segreto dell’autocontrollo, dice Mischel, consiste nell’aiutare la corteccia prefrontale a prevalere.
I bambini ci riescono attuando puntuali strategie diversive: spingono il dolcetto lontano, o gli voltano le spalle, si mettono le dita nel naso (una gratificazione alternativa niente male) o si inventano una canzone.
Il test del marshmallow è diventato sinonimo della capacità di resistere alle tentazioni
Ma anche gli adulti attuano strategie diversive di questo tipo: contare fino a dieci prima di rispondere quando sono arrabbiati, imporsi di non guardare più Facebook per le prossime tre ore o nascondere i cioccolatini in un posto alto e difficile da raggiungere.
Un bell’articolo dell’Atlantic ci dice che in questi ultimi cinquant’anni il test del marshmallow è diventato sinonimo della capacità di resistere alle tentazioni, e di avere forza di volontà e grinta: tutti elementi che possono, già nei piccoli, essere predittivi di futuri risultati migliori nello studio e di una vita più piena e soddisfacente.
Sono gli stessi elementi che aiutano gli adulti a tenere duro e a non perdere di vista i propri obiettivi, a gestire i momenti difficili o dolorosi senza esserne travolti e a governare l’affaticamento della forza di volontà (willpower fatigue) che può cogliere chiunque, e specie chi già deve avere autocontrollo tutto il giorno e poi, per esempio, di sera tende a lasciarsi andare.
Obiettivi specifici
La questione fondamentale, dice Mischel, è rendersi conto che l’autocontrollo è come un muscolo: possiamo scegliere di usarlo o meno. E, se sappiamo come attivarlo e siamo fiduciosi di essere capaci di usarlo, in realtà possiamo decidere di usarlo ogni volta che serve.
Uno stratagemma per riuscirci è formulare piani “se-allora”. Si tratta di darsi obiettivi non generici ma specifici, collegando una situazione data e un comportamento prestabilito: “Se succede il fatto X, allora io mi comporterò nel modo Y”.
Per esempio, “devo mangiare meno dolci” è un obiettivo generico. “Se al ristorante arriva la lista dei dessert, allora io dirò che preferisco un caffè” è specifico. È generico “devo finire la relazione”, ed è specifico “se entro mercoledì non avrò trovato il tempo per scrivere la relazione, allora sospenderò qualsiasi altra cosa fino a quando non avrò finito”.
Sembra che tra un modo e l’altro di darsi obiettivi ci sia una differenza da niente, ma non è così: il se-allora accresce in modo significativo la possibilità di riuscire a fare effettivamente quello che ci si è proposti di fare. Questo succede perché il nostro cervello si sintonizza e si attiva più facilmente, e con minore fatica cognitiva, quando sa già da prima come reagire a una specifica situazione.
La Harvard Business Review dice che la potenza del se-allora è attestata da più di 300 studi, e che la tecnica funziona non solo con gli individui, ma anche con i gruppi di lavoro. E aggiunge che fin troppo spesso le organizzazioni sperperano enormi quantità di tempo, soldi, idee e talento per raggiungere obiettivi stabiliti in maniera sommaria. Il se-allora può invece aiutare le persone a focalizzarsi, a collaborare, a condividere informazioni e anche a pensare in maniera indipendente.
E, dopotutto, somiglia a un se-allora istantaneo anche la brillante strategia usata istintivamente dai bimbi per resistere ai marshmallow: “Se mi viene una voglia matta di mangiarmi questo buon dolcetto, allora mi invento una canzoncina. O mi metto un dito nel naso”.
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