Mio padre era un uomo generoso e gentile, ma spesso di umore cupo. Era afflitto da problemi grandi e piccoli, dal destino del mondo all’acqua in cantina.
Ricordo di averlo visto sinceramente felice due volte. La prima, quando ha cominciato a svolgere un secondo lavoro come autista di autobus perché il solo stipendio da insegnante non era sufficiente a soddisfare le necessità della nostra famiglia. La seconda qualche anno dopo, quando ha deciso di migliorare la sua carriera, ancora una volta per il bene della nostra famiglia, prendendo un dottorato di ricerca. In entrambi quei periodi era esausto e sopraffatto dal lavoro. Ma sorrideva e rideva più del solito e sembrava non curarsi dei piccoli fastidi e dei grandi dilemmi che normalmente lo deprimevano. Ricordava quei tempi con vera tenerezza.
Mi è sempre sembrato paradossale: era meno felice quando era meno oppresso dal pensiero dei soldi e aveva più tempo libero, ed era più felice quando faceva più sforzi. Questo paradosso però ha una spiegazione e contiene un segreto di felicità per i padri, i padri potenziali e anche per tutti gli altri.
Esigenze economiche e sociali
Molti studi dimostrano che in molte aree del mondo industrializzato gli uomini hanno meno figli e diventano genitori in età più avanzata, ancora più di quanto accada alle donne. Questo è vero soprattutto nel caso di uomini molto istruiti. Indubbiamente queste decisioni sono al tempo stesso il riflesso di un’economia che richiede un’istruzione più elevata e dei costi altissimi per ottenerla, sia per i (potenziali) genitori sia per i loro (potenziali) figli.
Ma probabilmente dipendono anche dal fatto che oggi ritardare il momento in cui si diventa genitori o rinunciarvi del tutto è una cosa socialmente più accettabile che in passato. Quando ero piccolo mio padre una volta disse con disinvoltura (esprimendo un commento che mi aveva fatto provare un certo nervosismo): “Negli anni sessanta non ho mai pensato che si potesse scegliere di non avere figli”. Oggi non c’è niente di particolarmente strano se un uomo (o una qualsiasi persona adulta) compie una scelta di questo tipo.
Non opponete resistenza al lavoro e alle rinunce che la paternità comporta
La paternità, come la maternità, richiede sacrifici evidenti in termini economici e sociali. Dal punto di vista del bilancio della felicità, però, le prove a favore sono molto forti: per l’uomo medio la paternità è al netto di tutto una grandissima fonte di benessere. In una ricerca pubblicata sulla rivista Psychological Science nel 2012, gli studiosi hanno scoperto che i genitori sono più felici, provano più emozioni positive e danno più senso alla vita rispetto a chi non è genitore, cosa particolarmente vera nel caso dei padri.
Un altro gruppo di ricercatori ha scoperto nel 2001 che gli uomini che vivono con i figli piccoli (o che hanno figli grandi) provano una maggiore soddisfazione nella vita e sono meno esposti al rischio di soffrire di depressione rispetto agli uomini senza figli o che vivono separati dai figli piccoli.
Oltre a essere più felici, gli uomini con figli lavorano molto di più degli uomini senza figli, anche se il loro tempo tende a essere limitato dalla vita di famiglia. Secondo la ricerca del 2001, gli uomini che vivono con i figli lavorano in media 6,6 ore in più alla settimana rispetto a quelli senza figli e due ore in più rispetto a quelli che non vivono con i loro figli. E tuttavia l’impatto dei figli sul tempo libero non sembra preoccupare particolarmente la maggior parte dei papà: al contrario, secondo una ricerca del 2016 del Boston College, i padri millennial hanno molte più probabilità di affermare “le mie condizioni di vita sono eccellenti” rispetto a chi non è padre.
Una spiegazione plausibile per questi schemi di dati è che gli uomini felici che lavorano sodo sono anche quelli che hanno maggiori probabilità di diventare padri. Ma credo che una spiegazione altrettanto plausibile sia che il duro lavoro finalizzato al prendersi cura di chi amiamo generi felicità. Una conclusione coerente con le tante prove su quella che gli psicologi definiscono helper’s high (l’euforia di chi aiuta), ossia la sensazione di benessere che sperimentiamo quando ci sacrifichiamo per gli altri. In una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications gli studiosi hanno dimostrato che i partecipanti a un esperimento sul dono si sentivano molto più felici quando si comportavano in modo altruistico. Sacrificarsi per gli altri, soprattutto per quelli che amiamo di più, è come una droga naturale della felicità.
Rinunce e riconoscimento
Questo spiegherebbe il paradosso che ho visto in mio padre. Ovviamente l’euforia di chi aiuta può essere travolta quando le persone si addossano carichi più pesanti di quelli che possono sopportare. Esiste moltissima letteratura sulle difficoltà che i membri di una famiglia devono affrontare quando si occupano di persone care con bisogni particolari o attraversano momenti di ristrettezze economiche. In situazioni normali, però, quando abbandoniamo le nostre zone di comfort in cui ci prendiamo cura di noi stessi e cerchiamo invece di metterci al servizi degli altri possiamo trovare una grande felicità.
Dalla ricerca sulla paternità e il sacrificio emergono tre lezioni sulla felicità. Primo, se volete diventare padri, mettete da parte le esitazioni. Le analisi dei dati dovrebbero aiutare a sfatare la paura comune che la paternità avrà al netto di tutto un impatto negativo sul benessere di un uomo. L’idea che restare senza figli e spensierati sia più soddisfacente è in media sbagliata. Tutti hanno esperienze di paternità diverse e questo dipende da molti fattori, tra cui la qualità della relazione tra genitori. Tuttavia, a parità di condizioni, la paternità è un ottimo investimento in termini di felicità.
Secondo, non opponete resistenza al lavoro e alle rinunce che la paternità comporta. Spesso provo risentimento quando le responsabilità familiari mi trascinano via dalle mie priorità personali che, a differenza di quanto accadeva a mio padre, di solito implicano il desiderio di lavorare di più. Tuttavia il risentimento non è una buona guida alla felicità e la quattordicesima ora trascorsa in ufficio non vale la prima ora a casa. Se, come me, a volte vi irritate per il fatto di dover essere dei genitori, provate con la strategia del “segnale opposto”: quando siete infastiditi all’idea che gli obblighi familiari stiano incidendo sui vostri desideri personali, prendetelo come un segnale del fatto di dovervi concentrare di più, e non di meno, sulla famiglia.
È evidente che alcuni rischiano di esagerare, sacrificandosi oltre ogni limite razionale. Altri padri non si sacrificano affatto per i loro familiari, o li maltrattano. Ma se un padre è un bravo genitore, merita di saperlo, il che ci porta alla terza lezione: l’euforia di chi aiuta è fantastica, ma potete rendere il vostro papà ancora più felice riconoscendo il modo in cui si è messo al servizio della vostra famiglia e ringraziandolo per questo.
Da molti studi emerge con chiarezza che dimostrare il vostro apprezzamento probabilmente contribuirà a migliorare il vostro rapporto e vi renderà più felici. Forse avete il genere di papà che non apprezza questo tipo di riconoscimento – “Che diavolo pensavi che avrei fatto, che vi avrei lasciato morire di fame?”. Non importa. I ringraziamenti saranno comunque registrati e vi aiuteranno entrambi.
Tutti questi consigli offrono una guida per la paternità, ma non è detto che la renderanno più semplice.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.
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