Durante il vertice del G20, per il resto intossicato dal dramma siriano, c’è stato un unico momento di distensione. È arrivato nel corso della prima seduta di lavoro, quando si parlava della preoccupazione dei paesi emergenti per la volontà degli Stati Uniti di rallentare le loro iniezioni di liquidità nel circuito economico.

Quella di Washington è una svolta importante, perché ormai  da diversi anni (dal crack di Wall street, essenzialmente) la Federal reserve continua a tenere alto il ritmo della stampa di banconote. Totalmente lassista e divergente rispetto alle scelte dell’Europa, questa politica ha avuto il merito di mantenere a galla l’economia degli Stati Uniti, ma ora che la crescita riprende e le imprese hanno meno bisogno di ossigeno, riemerge lo spettro dell’inflazione, e dunque l’amministrazione Obama torna a una politica più severa.

È una scelta tanto logica quanto necessaria, e agire in modo diverso potrebbe essere molto pericoloso. Eppure, nella misura in cui in America ricominceranno a salire i tassi d’interesse, i capitali che sono stati investiti nei paesi emergenti in attesa di giorni migliori riprenderanno la via degli Stati Uniti e presto anche dell’Europa. Quella che è una buona notizia per l’occidente, insomma, è un pessimo segnale per i paesi emergenti, che già alle prese (chi più chi meno) con un rallentamento della crescita e con dati preoccupanti, devono ora affrontare la svalutazione delle loro monete, destabilizzate da quella che è a tutti gli effetti una fuga di capitali.

Dall’inizio dell’anno la rupia indiana ha perso un quarto del suo valore, il real brasiliano il 15 per cento e il rublo russo il 10 per cento, mentre la lira turca è in caduta libera. La rilocalizzazione dei capitali si aggiunge a segnali sempre più evidenti di una rilocalizzazione industriale, minacciando l’economia mondiale (caratterizzata da una totale interdipendenza) e inquietando i mercati e i paesi emergenti del G20, che come previsto hanno inserito l’argomento nell’agenda del vertice. Prima ancora dell’apertura dei lavori, un comunicato congiunto di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica ha espresso una forte preoccupazione per le “ripercussioni negative involontarie delle politiche monetarie di alcuni paesi sviluppati”.

Il destinatario del comunicato era chiaramente Washington, e Obama ha risposto assicurando che la nuova politica statunitense sarà attuata in modo progressivo per limitarne l’impatto sui paesi emergenti. È lì che sono arrivati gli unici sorrisi del G20, in un momento quasi miracoloso in cui il ministro delle finanze russo si è addirittura complimentato con gli Stati Uniti manifestando la reazione “molto positiva” dei paesi emergenti, prima di ammettere che “ormai è chiaro a tutti che l’epoca del denaro a buon mercato sta volgendo al termine”.

L’unico momento di distensione del G20, insomma, ci ha ricordato che il problema economico più attuale non è più la crisi dell’eurozona, ma quella dei paesi emergenti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it