Un sondaggio di Libération ha opportunamente ricordato che in Francia non esiste una maggioranza che vorrebbe l’uscita del paese dall’Unione e dall’euro. Al contrario, il 60 per cento dei francesi preferirebbe restare nell’Ue, mentre il 59 per cento desidera conservare la moneta unica contro un 29 percento che vorrebbe abbandonarla.

L’eurofobia è un fenomeno largamente minoritario sia in Francia che negli altri paesi dell’Unione, persino nella Grecia schiacciata dalle condizioni del piano si salvataggio e nel Regno Unito che ha accettato di entrare nel mercato comune soltanto dopo aver preso coscienza delle disastrose conseguenze dell’alternativa.

Questa realtà, innegabile, si rifletterà nei risultati delle elezioni europee, e le diverse correnti del nazionalismo eurofobo non riusciranno a ottenere una maggioranza. Eppure c’è un’altra realtà, altrettanto innegabile: l’eurofobia esiste e sta crescendo, anche se più lentamente di quanto si possa pensare.

Quali sono le cause di questo fenomeno? La prima ragione della crescita dell’ostilità all’Unione è che le prime politiche europee applicate a tutti i cittadini dell’Ue (e non soltanto a determinate categorie professionali) sono state improntate al risanamento dei conti pubblici. Più o meno gravemente, tutti gli europei hanno subito un peggioramento del loro tenore di vita e dell’assistenza sociale. Nessuno può apprezzare un’evoluzione di questo tipo, nemmeno chi è convinto che queste misure siano necessarie. L’impopolarità delle politiche di rigore ha colpito l’immagine dell’Ue, che oggi viene sostanzialmente assimilata all’austerità.

La seconda ragione dell’eurofobia è che la stragrande maggioranza degli europei continua a non capire che le politiche dell’Unione sono definite dai 28 capi di stato e di governo (eletti) che siedono al Consiglio europeo. I cittadini dell’Unione sono ancora convinti che è la Commissione a decidere tutto (quando invece non fa altro che vigilare sull’esecuzione delle volontà del Consiglio) e sempre più spesso non accettano di essere governati da funzionari non eletti.

Se le cose stessero davvero così sarebbe una situazione inaccettabile, ma la verità è che sono i leader nazionali a ripetere che “Bruxelles” comanda tutto, spingendo i cittadini a incolpare la Commissione anziché chiedere conto alla maggioranza liberal-conservatrice del Consiglio.

La terza ragione della crescita del sentimento eurofobico è legata alla fase di transizione attraversata dal progetto europeo. Oggi gli stati nazionali sono diventati troppo deboli per opporsi al mercato globalizzato, mentre l’Unione non è ancora in grado di affermare la propria autorità limitando l’onnipotenza del denaro senza frontiere. In Europa si assiste a un indebolimento del potere politico, testimoniato e accentuato dalla mediocrità dei suoi leader. A questo punto sta a noi decidere se la soluzione al problema è il ritorno agli stati e alle valute nazionali o la nascita di una vera unione politica dell’Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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