Dopo l’intervento della Casa Bianca della settimana scorsa, tocca all’Unione europea ammettere la portata del pericolo.

Riuniti in Lussemburgo, il 20 ottobre i ministri degli esteri europei studieranno le misure per contrastare la diffusione inattesa dell’epidemia di ebola che ha già provocato la morte di 4.500 persone in Liberia, Sierra Leone e Guinea.

L’idea di fondo sarebbe organizzare la risposta internazionale intorno agli Stati Uniti (i cui ex schiavi hanno fondato la Liberia), alla Francia e al Regno Unito, che hanno colonizzato rispettivamente la Guinea e la Sierra Leone.

Questi legami storici possono essere molto utili in una missione umanitaria. Allo stesso tempo, i ministri europei dovranno preparare un sistema di evacuazione rapida per medici, infermieri e soldati che saranno inviati sul posto e potrebbero essere contagiati.

Molto presente in Africa, la Cina si è impegnata a partecipare alla mobilitazione. La Repubblica Democratica del Congo, che dal 1976 ha dovuto affrontare l’ebola per ben sei volte, si è offerta di condividere la sua esperienza con tutto il continente.

La comunità internazionale, insomma, si è finalmente attivata, anche perché i primi casi hanno colpito l’Europa e gli Stati Uniti. A questo punto resta da capire se dobbiamo davvero temere un’epidemia mondiale di questa febbre emorragica spesso mortale.

La risposta, purtroppo, non è chiara. Da un lato non si può contrarre l’ebola semplicemente trovandosi faccia a faccia con una persona infetta e il contagio avviane esclusivamente attraverso lo scambio di fluidi corporei. Misure di igiene estremamente severe ma di semplice applicazione potrebbero dunque essere sufficienti a contenere l’epidemia.

Tuttavia non dobbiamo nemmeno sottovalutare il problema, per quattro motivi. Il primo è che nei tre paesi dell’Africa occidentale colpiti dall’ebola le infrastrutture sanitarie sono drammaticamente insufficienti, e dunque una diffusione continentale dell’epidemia non è da escludere.

Il secondo motivo è che il periodo d’incubazione può essere molto lungo, il che rende aleatorie le misure di isolamento. Il terzo è che l’epidemia ha raggiunto i centri urbani e non è più confinata alle regioni isolate.

Il quarto motivo, il più grave, è che la rapidità dei mezzi di trasporto favorisce la diffusione della malattia, dunque sarebbe inutile provare a mettere in quarantena uno o più paesi, perché questo non farebbe altro che moltiplicare gli spostamenti incontrollati.

La cosa positiva, però, è che il mondo si è finalmente svegliato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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