Un’immagine è sufficiente a cambiare la percezione di un dramma. È bastato che i jihadisti dello Stato islamico si impadronissero di Palmyra e di uno dei più bei siti archeologici del mondo perché la guerra in Iraq e Siria tornasse d’attualità, con una forza che i massacri quotidiani, la tortura generalizzata e le città distrutte dalle bombe non avevano mai avuto.

A quanto pare le pietre sono più efficaci delle vite spezzate, e così il contrasto tra duemila anni di civiltà e l’emergere della barbarie ci permette di vedere le cose per quello che sono: una tragedia inconcepibile.

Un rapido colpo d’occhio alla mappa è sufficiente a capire le situazione attuale: i fanatici sunniti dello Stato islamico controllano ormai metà della Siria e le più importanti regioni sunnite dell’Iraq. Questi territori sono confinanti e la frontiera tra i due paesi è puramente simbolica. I jihadisti sono pericolosamente vicini sia a Damasco sia a Baghdad, dunque hanno già raggiunto il loro primo obiettivo: controllare un territorio sunnita paragonabile a uno stato a cavallo tra Iraq e Siria.

In realtà la metà della Siria controllata dai jihadisti è sostanzialmente desertica, ma resta il fatto che i vertici dello Stato islamico incassano tasse, si arricchiscono grazie al traffico di reperti archeologici e petrolio e si sono appropriati delle attrezzature degli eserciti di Iraq e Siria, mentre i loro avversari sono chiaramente in crisi.

Il regime siriano è penalizzato dalle divisioni, dal rifiuto della coscrizione e dalle sue casse ormai vuote che l’Iran non riesce più a riempire. L’insurrezione democratica è l’ombra di se stessa perché il rifiuto degli occidentali di aiutarla ha chiaramente compromesso la sua azione. La Siria è sostanzialmente spaccata e l’Iraq unito è solo un ricordo del passato. Oggi esistono tre diversi Iraq: quello curdo, quello sunnita e quello sciita.

La conquista di Palmyra dimostra che il Medio Oriente rischia seriamente di sprofondare in una guerra dei trenta o dei cent’anni la cui posta in gioco sarebbe la ridefinizione delle frontiere attorno a stati identitari e il rapporto di forze regionale tra le due correnti dell’islam (sciita e sunnita) e i rispettivi paladini, Iran e Arabia Saudita.

Per fermare questa spirale bisognerebbe che i sunniti permettessero all’Iran sciita di impiegare le sue truppe contro lo stato islamico, che l’Iran accettasse di scaricare Bashar al Assad e di consentire una transizione politica in Siria, che la Russia smettesse di fare ostruzionismo al Consiglio di sicurezza per affermare la sua potenza, che l’Europa si decidesse ad avere un ruolo attivo e che gli Stati Uniti definissero la loro politica mediorientale.

Niente esclude che tutto ciò possa accadere, ma per il momento uno sviluppo di questo tipo appare ancora lontano.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it