Come un albero che nasconde la foresta. L’albero è il destino di Saad Hariri, primo ministro dimissionario del Libano, che ora è stato invitato ad andare in Francia. A quanto pare il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman lo ha costretto a farsi da parte convocandolo a Riyadh 12 giorni fa per fargli leggere una lettera di dimissioni che non aveva scritto.
Il principe rimproverava al primo ministro di essersi mostrato troppo accomodante con gli alleati libanesi dell’Iran. Hariri subiva una forte pressione, anche perché appartiene a una famiglia che ottiene il grosso dei suoi guadagni in Arabia Saudita e possiede la doppia nazionalità.
In questo modo si è creata una situazione scomoda, perché l’Arabia Saudita ha imposto le dimissioni al primo ministro di un paese straniero e sembrava avere intenzione di trattenerlo sul suo territorio. Fino a quando Emmanuel Macron ha ottenuto che Hariri e i suoi familiari potessero spostarsi in Francia.
Fermare l’Iran sciita
Tanto meglio per Hariri e soprattutto per il Libano, che adesso potrà uscire dal vuoto istituzionale in cui è stato spinto da queste dimissioni che non diventeranno effettive fino a quando non saranno presentate ufficialmente al capo di stato, a Beirut.
Tutto questo è importante, ma l’aspetto essenziale è un altro. Dietro l’albero c’è la foresta: il principe ereditario saudita, un giovane uomo che si fa chiamare MbS dai suoi sostenitori, vuole fermare l’avanzata dell’Iran sciita e persiano nel mondo arabo e sunnita, e ha deciso di cominciare dal Libano.
A Beirut, il capo dello stato è un militare cristiano, il generale Michel Aoun, che si è riavvicinato a Teheran perché pensa che i cristiani d’oriente non potranno affrontare la maggioranza sunnita senza allearsi con le altre minoranze, a cominciare dagli sciiti iraniani. Gli sciiti libanesi hanno costruito uno stato nello stato attraverso la loro organizzazione politico-militare, Hezbollah, armata e finanziata da Teheran. Questo rapporto di forze, che Hariri aveva finito con il subire, è precisamente ciò che Riyadh vuole rimettere in discussione.
Non sarà facile, ma MbS ha scelto bene il momento di agire, perché le truppe migliori di Hezbollah sono impegnate in Siria su ordine dell’Iran, che non potrebbe richiamarle senza rischiare di indebolire Bashar al Assad, alleato di Teheran.
A Beirut, MbS lancia un guanto di sfida all’Iran, e nel frattempo si prepara a ricevere a Riyadh le diverse correnti dell’opposizione siriana a cui spera di ridare slancio. In Medio Oriente è appena cominciata una grande e complicata partita.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it