I francesi hanno il “maggio del ‘68”, mentre gli statunitensi parlano dei sixties, gli anni sessanta. In fondo hanno ragione oltreoceano, perché anche se il ‘68 francese, a mezzo secolo di distanza, resta l’evento più emblematico del decennio, non è altro che un capitolo nazionale di una tendenza internazionale che ha sconvolto il mondo.

Stati Uniti, Giappone, Europa orientale, America Latina, Italia e molti altri sono stati coinvolti dalla contestazione dell’ordine del dopoguerra. Anche la Russia, che ha appena rieletto Vladimir Putin e che all’epoca si chiamava ancora Unione Sovietica, non è sfuggita all’ondata dei “sessantini”, o šestidesjatniki, come chiamano a Mosca la generazione degli anni sessanta.

In Russia i bambini nati nel periodo del baby boom, che in tutto il mondo aveva segnato il dopoguerra, sono cresciuti all’epoca della destalinizzazione. Erano appena entrati nell’adolescenza quando Nikita Chruščev pronunciava, nel febbraio del 1956, il suo rapporto davanti al ventesimo congresso del Partito comunista sovietico, in cui denunciava i crimini di Stalin. Teoricamente segreto, il rapporto si è diffuso rapidamente in tutto il mondo, e attraverso le radio occidentali anche in Urss e nel blocco sovietico.

A quel punto Ungheria e Polonia si sono ribellate. La prima è stata schiacciata, mentre la seconda ha conquistato margini di libertà inediti per l’epoca. Anche all’interno dell’Unione Sovietica, milioni di deportati sono tornati dal gulag mentre Aleksandr Solženicyn veniva pubblicato e la paura della gente si affievoliva. Nei grandi istituti, quelli che preparavano alle più alte cariche dello stato, i baby boomers cominciavano a sognare ciò che, nel 1968, la primavera di Praga avrebbe definito “il socialismo dal volto umano”. Poi però, nel 1964, Chruščev è stato messo da parte ed è arrivato il nuovo gelo dopo il disgelo.

L’apparato comunista ha ritenuto pericoloso tenere a Mosca i sessantini più brillanti, che per questo sono stati inviati a Praga e Budapest a rappresentare l’Urss nelle organizzazioni internazionali controllate dai sovietici.

Ma a Praga era già in gestazione la primavera, mentre le riforme economiche di János Kádár stavano trasformando l’Ungheria nel paese più innovativo del blocco, e gli europei e i latinoamericani che erano in contatto con i sessantini entravano in rotta di collisione con il Cremlino.

È negli anni sessanta che si è formata la “Prague connection” all’interno dell’élite sovietica. Quando nel 1985 Michail Gorbačëv è salito al potere si è appoggiato proprio sui sessantini. Insieme a loro e grazie a loro, Gorbačëv ha democratizzato l’Urss prima che i conservatori e Boris Eltsin lo sconfiggessero inaugurando un nuovo rigelo, lo stesso che Putin incarna ormai da 18 anni.
(Traduzione di Andrea Sparacino)

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