Tanto valeva non aspettare. La situazione economica, attualmente buona, rischia di compromettersi seriamente. I mercati sono sfiduciati e la moneta turca continua a perdere terreno. La diplomazia di Ankara appare sempre più confusa tra la conferma della sua alleanza con la Russia e l’approvazione degli attacchi occidentali contro l’arsenale chimico di Bashar al Assad. A questo punto Recep Tayyip Erdoğan, presidente che la Turchia non chiama più “il sultano”, ha pensato che fosse meglio anticipare le prossime elezioni e lo ha annunciato il 18 aprile.

Con un anno e mezzo d’anticipo, dunque, il 24 giugno i turchi eleggeranno il nuovo presidente e anche i nuovi deputati con un voto che è in realtà più imprevedibile di quanto sembri.

Erdoğan ha fatto tutto il possibile per avvantaggiarsi. Ha appena riconfermato lo stato d’assedio che dovrebbe restare in vigore durante la campagna elettorale e le elezioni. I mezzi d’informazione hanno la museruola, ridotti all’estrema prudenza dall’arresto dei giornalisti più coraggiosi.

Clima pesante
Anche alcuni parlamentari sono in carcere, 110mila funzionari sono stati licenziati e altri tremila militari lo saranno presto, 78mila persone sono in arresto. A Istanbul come ad Ankara, l’atmosfera è talmente pesante che molti intellettuali hanno scelto di emigrare. Eppure, per quanto la Turchia sia chiusa a doppia mandata, l’anno scorso Erdoğan ha vinto con grandi difficoltà il referendum che ha aumentato i poteri presidenziali a partire dalle elezioni successive.

Il presidente ha perso le grandi città e in lui c’è qualcosa di talmente brutale, veemente e imprevedibile che preoccupa perfino la sua base elettorale tradizionalista e religiosa, che gli è fedele dal 2003. Lo schieramento conservatore si sfalda, ed è per questo che Erdoğan accelera tutto. In pochi in Turchia credono davvero che possa essere battuto, ma molti scommettono su un secondo turno delle presidenziali e un forte calo del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) alle legislative.

Un ballottaggio con la conservatrice europeista Akşener potrebbe offrire una grande sorpresa a tutta la regione

L’economia russa non è in gran forma, i leader iraniani si spaccano tra conservatori e pragmatici e la Turchia non sa cosa fare in Medio Oriente: i tre alleati di Bashar al Assad appaiono insomma molto fragili.

Il fronte è barcollante già adesso, ma immaginiamo (e non è escluso) che Erdoğan non vinca al primo turno e sia costretto ad affrontare al ballottaggio Meral Akşener, ex ministra dell’interno, religiosa ma senza velo, nazionalista e leader del kemalista di destra İyi parti (Buon partito) ma molto europea e abbastanza popolare da poter unire sotto il suo nome diverse correnti dell’opposizione. A quel punto potrebbe arrivare una grande sorpresa capace di stravolgere l’intera regione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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