Anche quando c’erano divergenze, potevano risolversi in un sorriso unanime. Gli Stati Uniti e il Canada per l’America, il Giappone per l’Asia, la Francia, la Germania, l’Italia e il Regno Unito per l’Europa: il G7 è il club delle potenze occidentali più ricche, e finora nessuno avrebbe mai pensato che potessero non fare fronte comune ogni anno. Ma la situazione è cambiata.

L’8 giugno a Charlevoix, in Québec, le discussioni saranno “schiette” e “forse difficili”, come ha anticipato il primo ministro canadese Justin Trudeau. In altre parole siamo alla vigilia di uno scontro durissimo tra gli Stati Uniti e l’insieme dei loro alleati, tanto che un comunicato comune del G7 il 9 giugno è tutto fuorché scontato.

Nessun grande tema condiviso
I tedeschi ne dubitano. Dopo una difficile conversazione telefonica tra Donald Trump ed Emmanuel Macron, i francesi “non sanno”, un altro modo per dire la stessa cosa. Il Regno Unito è altrettanto maldisposto nei confronti del presidente americano. La nuova coalizione italiana, dal canto suo, non nasconde il desiderio di riavvicinarsi alla Russia. In sostanza resta solo il Giappone per smussare gli angoli, intenzionato a non irritare Donald Trump nel timore che possa ignorare gli interessi nipponici nell’incontro con il leader nordcoreano in programma il 12 giugno.

In Québec, dunque, accadrà qualcosa di mai visto: la divisione nel campo occidentale causata dall’unilateralismo adottato da Washington nella vicenda del nucleare iraniano, dall’imposizione dei dazi sulle importazioni europee o canadesi, dal ritiro dall’accordo sul clima di Parigi voluto da Trump e dal trasferimento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme.

Oggi non esiste un grande tema su cui gli Stati Uniti e gli alleati siano realmente d’accordo. Anche se i diplomatici riuscissero a tirare fuori un comunicato falsamente condiviso, l’edizione 2018 del G7 potrebbe passare alla storia come il momento in cui Washington avrà fatto presente agli alleati del dopoguerra che devono sbrigarsela da soli, perché ormai è “America first”, l’America prima di tutto.

Ma attenzione a non commettere l’errore di considerare Donald Trump la causa di tutto questo. La svolta risale al secondo mandato di George W. Bush ed è stata ampiamente confermata da Barack Obama. L’attuale presidente non ha fatto altro che accentuarla, aggiungendoci un bel po’ di volgarità. Gli Stati Uniti non vogliono più essere il gendarme del mondo. Al contrario, vogliono limitarsi a difendere i loro interessi. Per l’Europa la conclusione da trarre è evidente: il vecchio continente deve serrare i ranghi per difendere se stesso e i suoi interessi, che non coincidono con quelli della Russia, della Cina o degli Stati Uniti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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