Mentre il Brasile sta affrontando una seconda violenta ondata di covid-19, superando la triste cifra di 264mila vittime e con i governatori di alcuni stati costretti ad adottare misure restrittive più severe di quelle imposte dal presidente Jair Bolsonaro, l’8 marzo una notizia ha allontanato per qualche ora l’attenzione dalla pandemia.
Edson Fachin, un giudice della corte suprema brasiliana, ha annullato le quattro condanne che pesavano su Luiz Inácio Lula da Silva, ex presidente del Brasile e leader del Partito dei lavoratori (Pt, sinistra). La sentenza non riguarda i reati di cui Lula era accusato, corruzione e tangenti ricevute per l’acquisto di alcuni appartamenti, ma la competenza del tribunale di Curitiba, dove il leader della sinistra brasiliana era stato condannato e detenuto per più di un anno, fino alla scarcerazione nel novembre del 2019. Si tratta quindi di un vizio di forma.
Curitiba, capitale dello stato meridionale di Paraná, è stata per anni il centro dell’inchiesta anticorruzione lava jato (autolavaggio), guidata dal giudice Sérgio Moro, un simbolo della lotta all’impunità nel paese, poi diventato ministro della giustizia nel governo di Bolsonaro (si è dimesso ad aprile del 2020). Moro, in realtà, era stato a sua volta accusato di aver cercato di interferire e di pilotare l’inchiesta per fini politici, mettendo in dubbio la sua imparzialità e ridimensionando la sua fama di eroe della lotta alla corruzione.
Verso il 2022
Forse non è un caso che l’annullamento delle condanne di Lula sia arrivato poche settimane dopo lo scioglimento del gruppo di magistrati che aveva guidato l’indagine più importante del Brasile e scoperchiato una fitta rete di corruzione e tangenti, provocando la messa in stato di accusa e la destituzione della presidente Dilma Rousseff (delfina di Lula) nel 2016 e una mobilitazione di massa contro i governi del Partito dei lavoratori. L’indagine non solo aveva coinvolto l’azienda petrolifera statale Petrobras, decine di imprenditori, politici ed ex presidenti, in Brasile e in tutta l’America Latina, ma aveva portato in prigione Lula, rendendolo ineleggibile e aprendo la strada alla vittoria di Bolsonaro nel 2018, che aveva incentrato gran parte della sua campagna elettorale sulla lotta alla corruzione. Dopo la sentenza del giudice Fachin, Lula ha riacquisito i suoi diritti politici e, se la situazione non cambierà, potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2022.
Come scrive il giornalista Leonardo Sakamoto sul sito Uol, sottolineando le ripercussioni politiche di alcune decisioni giudiziarie, “prima il giudice Fachin ha facilitato l’elezione di un presidente che ha sempre mostrato disprezzo per la vita ed è corresponsabile delle centinaia di migliaia di brasiliani morti a causa del covid-19, poi ci ha ripensato e ha deciso che il tribunale di Curitiba non aveva la competenza per giudicare Lula”.
Su Twitter Lula non ha nascosto il suo entusiasmo: “È il riconoscimento che nella nostra lunga battaglia giudiziaria siamo sempre stati dalla parte giusta”, ha scritto poco dopo la sentenza. L’ex presidente, però, non è stato dichiarato innocente, sottolinea Le Monde, e ora il suo caso passerà al tribunale federale di Brasília. Inoltre, il procuratore generale della repubblica Augusto Aras, nominato da Bolsonaro, potrebbe presentare ricorso contro la decisione presa dal giudice Fachin.
Tutto può succedere
La cosa certa è che l’ex presidente brasiliano, che in un’intervista rilasciata il 5 marzo al quotidiano spagnolo El País si era detto “molto ottimista e fiducioso che presto il Pt potrà tornare al potere”, è di nuovo al centro del dibattito politico nazionale. Secondo un’inchiesta recente pubblicata dal giornale Estado de S.Paulo e condotta dall’istituto Ipec, il 50 per cento dei brasiliani oggi voterebbe per Lula, contro il 28 per cento che darebbe il suo sostegno a Bolsonaro e il 32 per cento all’ex giudice Moro.
Lula eredita un Pt indebolito, che parla poco di programmi ed è sulla difensiva. Molti lo associano a una sinistra istituzionale ormai vecchia, simbolo di un periodo che si è concluso con le manifestazioni a favore della destituzione di Rousseff. Alle ultime elezioni locali il partito ha ottenuto risultati deludenti, mentre il Partito socialismo e libertà (Psol) – lo stesso dell’attivista e consigliera comunale Marielle Franco uccisa a Rio de Janeiro nel 2018 – e alcuni suoi rappresentanti, primo fra tutti Guilherme Boulos, sono emersi come leader promettenti. Da qui al 2022, comunque, tutto può ancora succedere, sia sul fronte processuale sia sul fronte politico. Lo ha detto anche Lula al País: “In Brasile quello che sembra impossibile oggi può accadere domani”.
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