Quando la stampa internazionale sottolinea che nel mese di Ramadan, il mese santo per i musulmani, ci sono più attentati terroristici e violenze settarie rispetto al resto dell’anno non fa altro che riproporre la propaganda del gruppo Stato islamico senza applicare nessun filtro. I jihadisti, infatti, avrebbero chiesto ai loro seguaci di “attaccare gli infedeli” nel mese santo.
Una tabella riassuntiva degli ultimi attentati organizzati o ispirati all’organizzazione compilata dal New York Times arriva a risultati ben diversi: il mese di Ramadan non è il periodo dell’anno in cui ci sono più attentati.
Che il Ramadan sia strumentalizzato dai jihadisti è una preoccupazione per tutto il mondo islamico. Infatti gli attentati in Tunisia e in Kuwait colpiscono l’opinione pubblica musulmana, i commenti indignati sulla stampa araba sono numerosi e pongono l’accento sulla coincidenza con il mese santo, ma proprio perché avvengono durante un periodo dedicato all’amore del prossimo e alla pace, come sottolinea l’articolo dell’Atlantic Ramadan is not a time for erversbloodshed.
“In un certo senso il Ramadan combina lo spirito del Natale con quello della Pasqua. Di fatto, i musulmani considerano il Ramadan come il mese nel quale la parola divina (il Corano) è scesa sulla Terra attraverso la rivelazione di Maometto, come il Natale per i cristiani rappresenta il momento in cui la parola di Dio (Gesù) è venuta al mondo”, scrive l’Atlantic.
Per milioni di musulmani il mese di Ramadan rappresenta un momento d’introspezione, di ricerca spirituale e di miglioramento. Sui giornali diverse personalità spiegano i loro buoni propositi per il futuro e si pubblicano ricette di dolci per le feste. Tutte le sere, la rottura del digiuno, o iftar è l’occasione di distribuire alla famiglia, agli amici e ai vicini regali e inviti a cena. Con i bambini in vacanza, le famiglie guardano fino a tardi le famose musalsal del Ramadan, le serie televisive concepite per questo mese speciale. Il mese è anche il momento in cui ci si concentra di più sulla preghiera e fare la zakat, la carità ai più poveri, è un dovere. In questo contesto di festa, di tregua, la chiamata alle armi del gruppo Stato islamico corrisponde a un’ennesima rottura culturale dell’organizzazione rispetto al mondo musulmano, spiega l’Atlantic.
I propagandisti dell’organizzazione Stato islamico provano (e in modo fallimentare) a reindirizzare verso il loro obiettivo perverso questo potere spirituale, gioioso e generoso del Ramadan. Perderanno, perché per quasi tutti i musulmani, l’islam è una bellissima religione, la sua verità soddisfa la loro mente e i suoi rituali riempiono il loro cuore di pace. L’idea del Ramadan come una stagione di crudeltà e di aggressione non è solo, quindi, fallace, è anche inconcepibile.
L’effetto di rottura con le pratiche culturali più diffuse dell’islam è sicuramente il principale marchio di fabbrica della propaganda dell’organizzazione Stato islamico. Ma in ultima istanza è “impensabile” per il mondo musulmano aderire a questo modello, perché oltre alle frontiere irachene e siriane lo Stato islamico, come sostiene lo studioso di islam politico Olivier Roy, “rimane l’espressione di uno spettro, di un mondo immaginario che produce un effetto di terrore per paralizzare l’avversario”.
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