Ci sono mostre e libri molto rari che permettono di avere la giusta prospettiva sul lavoro di un artista, senza sclerotizzarsi su un aspetto solo, magari il più noto, del suo lavoro. Un esempio lampante in questo 2016 che si conclude è stato quello del fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, che al museo Guimet di Parigi è stato celebrato da una grande retrospettiva. Di Araki si ricordano essenzialmente le immagini (soprattutto polaroid) di donne nude legate, diventate un po’ il suo marchio di fabbrica, che hanno fatto credere a molti occidentali che l’erotismo giapponese fosse inscindibile dalla pratica del bondage.

Il problema è che troppo spesso vediamo queste immagini da sole, rimosse da qualunque contesto. La mostra del museo Guimet e il suo catalogo (a cura di Jérôme Neutres, Gallimard 2016) hanno il merito di farci vedere come ogni scatto di Araki sia imbevuto delle luci e delle ombre della sua vita. Non ci sono solo i nudi ma anche i cieli, i panneggi, i grandi omaggi in bianco e nero a sua moglie Yoko, morta di cancro nel 1990. Davvero stupefacente è il suo lavoro inedito, Tombeau Tokyo, che compare alla fine e mescola immagini del passato a fotografie nuove. Quasi un mausoleo, tanto da far pensare che quella del museo Guimet possa essere stata l’ ultima mostra del maestro giapponese.

Questa rubrica è stata pubblicata il 2 dicembre 2016 a pagina 106 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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