Amici indignati, o meglio irritati più che indignati, o meglio esausti più che irritati, mi invitano a scrivere qualcosa sull’ultimo carnevale che è stato montato all’interno della Biblioteca nazionale di Firenze: una pista da golf lunga quindici metri.
Mesi fa non avevo forse scritto un articoletto dal titolo Vieni anche tu a ballare alla Biblioteca nazionale, quando l’atrio della biblioteca era stata teatro di una serata dance anni settanta (“Ci piace, ed è la nostra mission”, spiegavano, con la loro sintassi, gli organizzatori dell’Evento, “divertire e divertirsi a raccontare, vedere ed approfondire quel decennio dei ‘70 che per noi è stata l’origine di molto”)? Ora, col golf, si tratterebbe di ripetere lo stesso lamento.
Ma in realtà no, non credo, e ne approfitto per dire quello che penso con più precisione. In linea di massima, io non sono contrario all’uso degli spazi pubblici (musei, biblioteche, stadi, teatri eccetera) a fini privati, purché: 1) i privati paghino profumatamente (e intendo profumatamente) il privilegio di usare per i propri fini gli spazi pubblici; 2) non ci sia il rischio che gli spazi pubblici vengano danneggiati dall’incuria o dalla sbadataggine dei privati locatari; 3) il personale (nel caso in questione il personale della biblioteca) non sia costretto a prestare la sua opera al servizio di questi privati; 4) i normali utenti non vengano disturbati; 5) il “fine privato” non sia troppo, troppo, troppo eterogeneo rispetto ai fini del luogo pubblico preso a nolo.
Questo punto 5) è, come s’intuisce facilmente, il più delicato e ambiguo e discutibile, perché come definire la “eterogeneità rispetto ai fini”? Appunto, non c’è da definirla, decide di volta in volta il direttore o la direttrice: del resto lo/a paghiamo per questo. Un quartetto d’archi nel foyer del Teatro Regio di Torino? Ma certo che sì. Un campionato di lotta nel fango nella sala dei fondi oro agli Uffizi? Ma certo che no. Su quasi tutto il resto si può discutere, e tocca ai responsabili pronunciarsi. Ma in generale: se a cinquanta parvenus viene un brivido nella schiena al pensiero di consumare il loro filetto tra gli stucchi della reggia di Caserta, e per farlo sono disposti a pagare dieci volte di più di quello che pagherebbero nel migliore ristorante della città, non ho obiezioni di principio. Chiamiamola tassa sullo snobismo.
La trasformazione della Biblioteca nazionale di Firenze in discoteca non mi trovava d’accordo perché mancava di adempiere almeno quattro dei cinque punti che ho elencato: 1) i locatari, per quel che ne so, non hanno pagato abbastanza; 2) ballare in biblioteca mette a rischio gli ambienti e gli arredi, soprattutto se insieme alla danza ci sono gli alcolici; 3) il personale della biblioteca è stato più o meno obbligato a “dare una mano” in questa avventura – per dei bibliotecari – un po’ umiliante; 4) ballare in biblioteca secondo me non si fa.
Ma adesso, dunque, “grazie all’intraprendenza della direttrice Maria Letizia Sebastiani”, la Biblioteca nazionale “aprirà le proprie porte al golf”. Perché mai?, uno si può chiedere. Ma anche: perché no? Se pagano molto bene, se non danneggiano niente e non lasciano tracce, se non disturbano i lettori e non costringono i bibliotecari a fare cose che un bibliotecario non dovrebbe fare, se si danno tutte queste condizioni, non ho obiezioni di principio. Per i soldi, va bene quasi tutto.
Ciò detto, devo però aggiungere che oltre a quelli elencati c’è un sesto ostacolo per me quasi insuperabile che mi spinge ad oppormi a qualsiasi uso spettacolar-sportivo-paraculturale di un posto come la Biblioteca nazionale di Firenze. Questo sesto ostacolo si potrebbe definire in sintesi “Produzione di Stupidità”. Perché chi chiede o dà in affitto la Biblioteca nazionale per la dance anni settanta o per il golf purtroppo non si limita all’atto: condisce l’atto con motivazioni e rivendicazioni ideali, riassumibili nell’intento di “avvicinare nuovi utenti ai luoghi del sapere”.
Gli organizzatori della serata disco, nell’autunno scorso, dicevano un “grazie veramente speciale allo staff della Biblioteca nazionale centrale di Firenze e alla sua illuminata ma rigorosa Direttrice. Lasciateci dire che se altri fossero come Lei, i luoghi più belli del nostro straordinario Paese sarebbero conosciuti e fruiti da tante tante tante persone in più”. E i golfisti racconteranno a sé e agli altri più o meno la stessa storiella (vedo che nel loro caso la parola magica è “visibilità”).
Ora, può darsi, ed è sperabile, che sia tutta una manfrina: uno vuol fare una festa danzante in un posto strano e si affitta la Biblioteca nazionale, e poi aggiunge qualche balla democratica per dare un’aura di serietà all’operazione. Ma può anche darsi che discotecari e golfisti ci credano veramente, che si credano davvero l’avanguardia di una rivoluzione democratica che abbatte le Torri d’Avorio della Cultura. Allora sarebbe più grave, perché vorrebbe dire 1) non avere idea di cosa sia l’istruzione; 2) avere un’opinione comicamente esagerata delle proprie capacità e del proprio ruolo; 3) credere che esistano ancora (se mai sono esistite) le Torri d’Avorio della Cultura. Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di idiozie, e incrementare la quantità di idiozia presente nell’aria è un delitto contro gli esseri umani.
Perciò ritiro tutto. No, il golf alla Biblioteca nazionale di Firenze è una cazzata, che vadano a giocare nei prati.
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