Dieci errori che i giornalisti devono evitare quando parlano di persone lgbt. Uno al giorno, per dieci giorni.
Il tema della transessualità è forse il più delicato di tutti e, chiaramente, quello in cui si fanno i danni peggiori. Sulla questione c’è innanzi tutto un’ignoranza di base che contribuisce a perpetuare il tabù. Ho l’impressione che la maggior parte dei giornalisti non abbia ben chiara la differenza fra transessuale, transgender e drag queen, e che quindi usi queste parole in modo confuso.
Cominciamo da un punto fondamentale: le persone che sui giornali sentiamo continuamente chiamare “i trans” in realtà sono “le trans”. Ed è una cosa che dovrebbe saltare all’occhio, no? In certi casi vedi la foto di una super donna con i capelli lunghi, tacchi altissimi, tette giganti, e ti dovrebbe proprio venire spontaneo usare il femminile. E invece no. C’è questo bisogno di ribadire in modo morboso che prima si trattava di un uomo o, peggio, che dal punto di vista genitale lo è ancora. E quindi senti domande tipo: “Ma è un uomo o una donna?”, come se la differenza la facesse solo il pene.
In realtà, e io non sono un esperto quindi lo dico in termini semplici, per la transessualità vale il principio dell’identità. Questa persona si sente donna? Allora non importa in che fase della sua transizione sia, e neanche se la compirà fino in fondo dal punto di vista chirurgico: se lei sente di essere una donna va trattata come tale.
I trans – che secondo la nostra stampa affollano le strade di sera – in realtà sono le persone nate donna che diventano uomini, quelle per cui si usa anche la sigla Ftm (female to male), da femmina a maschio. Un gran numero di giornalisti questo lo ignora. Chi invece dovrebbe conoscere bene la differenza è Platinette, che non è né un trans né una trans, ma una drag queen (e non userei neanche il termine travestito, perché drag queen è quello che meglio descrive il travestitismo come performance e non come stile di vita).
Quindi mi ha davvero sorpreso trovarmi di fronte a questo titolo, in cui Platinette parla della presenza di un transessuale a Miss Italia:
Leggendo poi la dichiarazione effettiva riportata nell’articolo, ovviamente si scopre che Platinette parlava di una transessuale. Il colpevole, come al solito, è un redattore.
Un altro esempio, da Repubblica. Grande scandalo perché Vladimir Luxuria non poteva fare da testimone di nozze per via del veto del vescovo, e poi la situazione si risolve così: “Vladimir Luxuria si è presa la sua rivincita. Il trans più famoso d’Italia potrà fare infatti da testimone al matrimonio di sua cugina”.
Il passaggio dal femminile al maschile nel giro di una riga rasenta la schizofrenia. Eppure nessun correttore di bozze ci ha trovato niente di strano.
Altro fatto increscioso sulla questione transessuale è la tendenza della stampa a scadere in certe battutine di basso livello. Mentre pare che per l’omosessualità nessun giornalista osi più fare battute da scuola media, la cosa è ancora accettata per quanto riguarda la transessualità.
Su Repubblica, Zucconi ha scritto un ritratto molto interessante di Bradley Manning, il soldato da cui è partito lo scandalo Wikileaks, che durante il suo processo ha dichiarato di voler cambiare sesso. E anche all’interno di un articolo lucido e a tratti malinconico, il giornalista, parlando della giudice del processo, non rinuncia a mettere tra parentesi “(lei nata donna)”. Perché?
Secondo me nel suo caso non si tratta di transfobia, ma di un tic giornalistico. Uno di quei piccoli automatismi che s’insinuano in un articolo senza neanche che il giornalista se ne renda conto.
Correzione: 8 novembre 2013 In un versione precedente di questo articolo c’era scritto “scandalo dell’Nsa” invece di “scandalo Wikileaks”.
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