A quindici anni dalla mia nascita mamma aspetta una bambina dal suo compagno. Sono contentissima, ma devo rassegnarmi a diventare una “sorellastra”? –Romina

L’italiano, hai ragione, non è per niente generoso con le famiglie allargate: parole come sorellastra o matrigna evocano povere orfanelle costrette a lavare i pavimenti in ginocchio mentre gli altri vanno al ballo.

E così per evitarle ricorriamo a faticosi giri di parole tipo “sorella da parte di madre” o “la moglie di mio padre”. L’inglese, lingua più flessibile e pronta a recepire le novità, parla di

half-sister quando si ha un genitore in comune o step-sister se i rispettivi genitori si sono sposati. Anche in francese esiste l’espressione démi-soeur, mentre per la matrigna si usa il più lusinghiero belle-mère (che però significa anche suocera, facendo sorgere il dubbio che dietro ci sia del sarcasmo).

In Danimarca, il paese in cui mi sono appena trasferito, si dice pap søster, che letteralmente significa “sorella di cartone”. Come se si trattasse di una sagoma di cartone a grandezza naturale. Ma i danesi dicono anche bonus søster, che invece mi piace molto perché in effetti si tratta proprio di un bonus: una sorella-premio non prevista e benaccetta. Al di là delle lingue, comunque, il mio consiglio è di semplificare: la bambina in arrivo è tua sorella, punto e basta. E saranno l’amore e il tempo che le dedicherai a farla tale, prima ancora dei legami di sangue o di cartone.

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