Il 18 settembre il regista statunitense John Waters, detto il “papa del trash” o il “re dello schifo”, ha avuto la massima onorificenza che l’industria cinematografica statunitense concede a un artista: una stella sull’Hollywood boulevard. Waters, che ha 77 anni e nella sua lunga carriera è passato con disinvoltura dall’underground più spinto a un mainstream mai davvero addomesticato, ha accolto l’omaggio con divertita condiscendenza.

La Hollywood walk of fame, nonostante le stelle dedicate ai grandi del cinema, tra turisti in ciabatte e ubriaconi di passaggio, non è esattamente un luogo elegante e Waters, nel suo garbato ma caustico discorso di ringraziamento ha detto: “Spero che i reietti più disperati dello showbiz camminando sulla mia stella sentano una sorta di rispetto o di forza. I canali di scolo di questo magico viale non laveranno mai via la mia gratitudine, i rimasugli galleggianti della mia carriera cinematografica o i residui della mia riconoscenza”.

A tenere un piccolo discorso c’erano anche due delle sue star più famose: Ricki Lake (già protagonista di Hairspray e oggi comica e presentatrice tv) e la magnifica Mink Stole, protagonista insieme alla drag queen Divine (1945-1988), della maggior parte dei suoi film.

Parti da psicotica criminale
Se Divine era la star di pellicole come Mondo trasho, Pink flamingos, Female trouble e Polyester, Mink Stole era la sua spalla ideale. Apparentemente borghese e meno appariscente dell’enorme Divine, Mink Stole (che in realtà si chiama Nancy Paine Stoll), si sobbarcava sempre le parti più estreme da criminale, psicotica, perfida pazza o derelitta.

Nel lungometraggio di esordio di John Waters, Mondo trasho, aveva ben tre ruoli: la senzatetto, l’internata in un ospedale psichiatrico e la snob. In Multiple maniacs è l’amante lesbica di Divine, in Pink flamingos è Connie, la rivale di Divine per il titolo di “persona più schifosa della terra” e in Female trouble è Taffy, una bambina che simula incidenti stradali mortali riempiendosi di ketchup.

Mink Stole, Sometimes i wish i had a gun - Nell’immagine del video Mink Stole nel film Pink flamingos di John Waters

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Mink Stole non è solo l’attrice feticcio di Waters, ma è anche una sua grande amica: come lui e Divine viene da Baltimora, città periferica e orgogliosamente stravagante, e con lui ha diviso un appartamento a New York all’inizio degli anni settanta, periodo in cui oltre a lavorare nei film underground cercava anche di mantenersi con uno straight job, un impiego normale, al quale spesso si presentava la mattina sconvolta, con i capelli tinti o tagliati in modi assurdi per esigenze di scena.

Dopo la morte di Divine il cinema di Waters ha preso con decisione una piega più hollywoodiana e Mink Stole ha saputo stare al gioco: nel film Serial mom (pessimo il titolo italiano La signora ammazzatutti) è Dottie Hinkle, la vicina di casa di Beverly Sutphin (Kathleen Turner), mogliettina americana perfetta con il vizio di uccidere per i più futili motivi. Dottie, bigotta e spiona, è l’unica a capire che Beverly è una pericolosa serial killer e la scena del processo in cui deve testimoniare contro di lei è una delle più divertenti e sboccate mai girate da John Waters.

Fare cinema senza soldi
Waters e Mink Stole si erano conosciuti a Baltimora ancora ragazzi e lei è stata una delle prime a unirsi alla sua scalcagnata factory di provincia a metà anni sessanta. Il modello era ovviamente Andy Warhol, ma Baltimora non era New York e soprattutto Waters non aveva alcuna pretesa di fare arte, voleva fare solo cinema con i mezzi che aveva, cioè nessuno. Se le superstar di Warhol avevano nomi favolosi come Viva, Ultra Violet e Nico, anche la banda di John Waters non doveva essere da meno. Mink Stole, che vuol dire “stola di visone”, sembrava un ottimo nome per una star del cinema underground e anche Divine, drag name del grande e grosso Harris Glenn Milstead, aspirante parrucchiere di Baltimora, calzava a pennello. Tutta la factory di John Waters era fatta di amici del liceo o di reietti vari raccolti nei cinema a luci rosse o negli strip club di quella decadente città di provincia.

I film di Waters, censurati e maltrattati dalla critica seria per decenni, si sono creati un loro spazio nella storia del cinema e della sottocultura gay statunitense; dalla seconda metà degli anni ottanta produzioni più ricche e mainstream come Hairspray e Serial mom sono state anche dei buoni successi di botteghino. Hairspray in particolare ha avuto un remake nel 2007 con John Travolta nel ruolo drag che fu di Divine. Anche Waters e la sua galassia di attori e comparse (quelli che erano sopravvissuti agli eccessi degli anni sessanta e settanta) hanno cominciato a godersi un po’ di fortuna e di soldi.

Il buon cattivo gusto
Mink Stole, in particolare, grazie ai ruoli laterali ma sempre estremi che ha recitato nei film di Waters, è diventata un idolo alternativo che metteva d’accordo punk, studenti d’arte e discotecari gay, con la sua aria sempre più da signora per bene che nasconde chissà quale patologico segreto. Sarebbe un errore considerare Mink Stole un’icona camp o trash. Lei si sente, e si è sempre sentita, un’attrice e trova offensivo quando lo stile di recitazione dei film di Waters è definito “amatoriale”. Per quanto riguarda il camp, poi, nel suo libro Shock value, Waters è categorico: “La parola camp mi ha sempre fatto pensare a due gay di una certa età che parlano tra loro di lampade art déco. Il mio è semplicemente cattivo gusto. Ma buon cattivo gusto”.

Nel 2013 Mink Stole lancia una campagna sulla piattaforma Kickstarter per realizzare il suo sogno: un album di cabaret musicale vecchio stampo, con standard molto noti mescolati a canzoni più strane, un po’ perché sa di essere una discreta cantante e un po’ perché sente di meritarlo. L’attrice è stata coperta di donazioni e ha passato mesi a scrivere biglietti di ringraziamento, autografare foto e sferruzzare sciarpe e scaldateiere per i fan che avevano offerto cifre più importanti.

Nel suo ruolo di produttrice esecutiva del disco Mink Stole rivaluta enormemente il lavoro che faceva John Waters quando realizzava, tutto da solo, i primi film. “Avevo già un grande rispetto per lui”, dice in un’intervista alla rivista di moda britannica Wylde, “ma lavorando sul disco la mia stima nei suoi confronti è cresciuta a dismisura. Produrre tutto è un’altra cosa! Quando recitavo con lui al massimo dovevo studiare le mie battute, presentarmi sul set in orario, tingermi i capelli o rovinarmi i vestiti”.

Do Re MiNK è una raccolta di standard e di canzoni che Mink Stole ha amato nel corso della sua vita, una sorta di memoir musicale, e gli arrangiamenti semplici e immediati fanno emergere una sua inedita personalità di effervescente soubrette pop-jazz. Come cantante e produttrice dà una grande prova di gusto e di misura, due caratteristiche che è difficile associare al cinema per cui era diventata famosa. Ma attenzione! Come nei film di Waters più mainstream, sotto la glassa zuccherina si nascondono massicce dosi di caustica ironia e di doppi sensi che chi deve capire capisce.

Il programma si apre con Female trouble, il tema dell’omonimo film che Divine cantava nei titoli di testa. Se Divine la canta nello stile ruvido e psicotico della protagonista del film, Dawn Davenport, una baby-delinquente che decide di diventare una superstar del crimine e finisce sulla sedia elettrica, Mink Stole la canta nello stile morbido e sexy di Peggy Lee. Segue una versione in francese di Bang bang (my baby shot me down), pezzo reso famoso da Cher nel 1966. Più che alla malinconica sensualità di Dalida qui Mink Stole punta, a partire dall’arrangiamento da vecchia chanson francese, a una sorta di effetto Piaf, molto drammatico, con qualche ruvidezza vocale. Tutto si può dire di Mink Stole cantante tranne che non sia versatile.

Da Randy Newman ai Cockettes
Non può mancare una cover di Baltimore di Randy Newman, resa famosa da un’interpretazione epocale di Nina Simone, altra illustre figlia di quella città. “La puttana all’angolo che aspetta il treno”, canta Mink Stole con aria quasi assente: “un ubriacone sdraiato sul marciapiede che dorme sotto la pioggia, nascondono tutti il viso, nascondono gli occhi perché la città sta morendo e loro non sanno perché”. Non c’è nessun dramma nell’interpretazione di Stole: solo la fredda registrazione di un fatto.

No nose Nanook è una piccola assurda canzone che parla di una donna eschimese che perde il naso per averlo strofinato troppo (si dice che gli eschimesi si tocchino i nasi tra di loro come forma di saluto affettuoso). La canzone era stata eseguita da Divine e dalla stessa Stole Mink a San Francisco durante uno spettacolo dei leggendari Cockettes, troupe teatrale sperimentale e psichedelica che mescolava cabaret, drag show, nudismo e rock’n’roll. Sulla storia delle Cockettes vi rimando a un bel documentario diretto da Bill Weber e David Weissman che uscì nel 2002.

Do, Re, MiNK è un album sicuramente piccolo e marginale che ci fa riflettere su quanto oggi usiamo la parola “trash” a sproposito. John Waters e la sua congrega di attori e attrici erano considerati trash perché avevano inventato quel concetto: spazzatura da tirare in faccia, come gesto aggressivo e protopunk, a un pubblico assuefatto al cinema e alla tv. L’immondizia di Waters e compagni era un gesto artistico molto sofisticato che si basava su una conoscenza profonda della storia del cinema, della canzone e della cultura pop. Do, Re, MiNK è un lavoro apparentemente innocuo, da cabaret un po’ fané, ma nasconde, sotto la cenere, quel fuoco feroce, quella libertà pagana di poter ridere di tutto, anche dell’orrore e della morte. Quel “buon cattivo gusto” che è tutt’ora la cifra stilistica del grande uomo di cinema che è John Waters.

Mink Stole and her wonderful band
Do Re MiNK
Autoprodotto, 2013

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