Tutti ricordano la prima volta che hanno visto Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio animato di Walt Disney. È un film del 1936, ma per i bambini di ogni generazione sembra sospeso nel tempo ed è in qualche modo la versione “ufficiale” della favola dei fratelli Grimm. Qualunque altra illustrazione di Biancaneve, anche quelle bellissime di fine ottocento, anche quelle di Gustave Doré (che pure avevano tanto influenzato Disney), ci sembrano inautentiche: la vera Biancaneve, per qualunque bambino dalla metà del novecento in poi, è quella sorta di sublimazione di Betty Boop, con le ciglia lunghissime, le labbra scarlatte e quel collo aggraziato che si piega all’indietro quando canta con la voce da soprano leggerissimo. La Biancaneve di Disney è riconoscibile anche per i suoi colori: il bianco, il rosso e il blu della bandiera americana nel suo abito con le maniche a palloncino e quel colletto bianco inamidato che si apre come una corolla intorno al collo candido, in contrasto con il nero dei capelli e le guance sempre sul punto di arrossire.

Tutti i bambini però ricordano anche quanta paura facessero alcune scene di Biancaneve e i sette nani. La foresta che si anima di notte, con i rami degli alberi che si trasformano in artigli adunchi e le cortecce che nascondono ghigni mostruosi; la regina cattiva che è Joan Crawford quando si specchia ma in realtà è un’orribile vecchia, e poi il cacciatore che dovrebbe catturare Biancaneve e strapparle il cuore.

Biancaneve è una favola gotica e Walt Disney riuscì a distillare alcuni elementi visivi dell’arte tardoromantica in una chiave pop e ultramoderna. E il fatto che Biancaneve e i sette nani fosse uno dei film preferiti di Adolf Hitler, che lui chiedeva di vedere e rivedere nella sua sala privata mentre l’Europa bruciava, non fa che aumentarne il fascino sinistro e ambivalente che continua a esercitare sui grandi e sui piccoli.

Quello che in Biancaneve e i sette nani fa paura ai bambini è accettabile per gli adulti perché Disney è un abile manipolatore d’immagini e di emozioni: comunica su piani diversi e fa apparire e sparire simboli e suggestioni come un prestigiatore. Tutto è nel ritmo e nei dettagli. E nell’uso magistrale che Disney fa della musica. Nel lungometraggio Fantasia questo rapporto tra immagini e musica è esplicitato, negli altri film è più segreto, ma proprio per questo ancora più efficace. Quando si parla della magia e dell’incanto dei primi film animati di Walt Disney secondo me si parla di questo.

Una magia paurosa
Quando il produttore Hal Willner (1956-2020) decide a fine anni ottanta di realizzare un tributo alla musica dei vecchi film di Disney ha in mente proprio di esplorare questo aspetto. Stay awake è un tribute album dedicato non tanto a Walt Disney e a i suoi personaggi o ai musicisti che collaboravano con lui, quanto a quell’incanto, quella magia, anche un po’ sinistra e paurosa, che rendeva così vivi i suoi disegni animati. Gli occhioni di Dumbo, le tentazioni di Pinocchio irretito dall’omino di burro, Julie Andrews che dialoga con i cartoni in Mary Poppins erano tutte magie rese possibili e credibili da quella alchemica fusione di immagini, colori e musica.

Willner mette così insieme questo tributo che non è solo una raccolta di canzoni cantate da artisti più o meno famosi ma una specie di operetta, di marchingegno musicale e teatrale che rimonta insieme tanti frammenti che nei film sono attimi, spesso solo ritornelli, dandogli una forma e un senso tutti nuovi.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Stay awake infatti è un album fatto di medley che non sempre sono relativi a un singolo film, ma ricreano un’atmosfera o una sensazione giustapponendo scene diverse e approfondendo personaggi anche portandoli fuori da quello che il pubblico sa o pensa di sapere di loro.

Hal Willner si è concentrato proprio sui film creati e diretti da Disney finché era in vita: da Biancaneve e i sette nani fino al Libro della giungla uscito subito dopo la sua morte, nel 1967. E lo ha fatto per entrare nella psiche di Disney, per svelare come pensava e come lavorava, per carpire i misteri di quella magia che dopo la sua morte sarebbe diventata un prodotto industriale protetto come il segreto della bomba atomica da generazioni di guardiani in giacca a cravatta depositari, oggi più che mai, dell’ortodossia disneyana.

Oltre il tendone del circo
L’album si apre con un medley che unisce canzoni di Pinocchio, Bambi e Il libro della giungla cantate rispettivamente da Ken Nordine (nel suo caso la canzone del gatto e la volpe è quasi parlata), Natalie Merchant dei 10.000 Maniacs e Michael Stipe dei R.E.M. e dalla band di rock chicano Los Lobos. Sono tre canzoni che hanno in comune una cosa: ci aprono a un mondo nuovo, sono il portale attraverso cui entriamo nell’universo e nell’estetica di Walt Disney: Willner è Mangiafoco che ci socchiude la tenda del circo per farci intravedere le luci dello spettacolo.

Tutto è troppo irresistibile per rimanere fuori al freddo a guardare: dobbiamo seguire la banda ed entrare. E una vola dentro lo spettacolo è meraviglioso: Bonnie Raitt c’incanta con Baby mine, la canzone (provate a non piangere) che la mamma di Dumbo gli canta dal camion del circo in cui è incatenata coccolandolo con la lunga proboscide, l’unica parte di sé che riesce a far passare dalle sbarre. Bonnie Raitt la tratta come un tenero pezzo country ed è bravissima a non strafare con il sentimentalismo: è tutto nella melodia che lei asseconda con misura ma anche con piacere. Hal Willner ha il dono di mettere a loro agio i musicisti, di fargli credere di giocare.

Tom Waits è un fuoriclasse quando riprende la marcia dei sette nani che vanno allegri a lavorare in miniera. La canzone ci trasporta in una notte nera come il carbone: sentiamo treni che sferragliano in lontananza e Waits ha qualcosa di subumano quando canta di “scavare, scavare e scavare”: più che Brontolo o Eolo sembra un diabolico becchino. Willner incoraggia Tom Waits a esplorare l’anima più nera e gotica del mondo di Biancaneve che è anche, e forse soprattutto, un modo sotterraneo e infernale più simile a quello di Plutone e Persefone che a quello delle principessine stampate su gadget e giocattoli.

Tra sonno e veglia
Suzanne Vega è splendida quando intona Stay awake, la canzone con cui Mary Poppins addormentava i due bambini dicendogli d’ignorare i morbidi cuscini su cui erano adagiati e rimanere svegli. È una ninna al contrario che porta al sonno ordinando di rimanere svegli ed è un’altra canzone liminale che ci conduce a oltrepassare una nuova soglia, quella tra il sonno e la veglia, tra il sogno e il mondo reale.

Tra i vari medley brillano anche le grandi voci di Betty Carter che canta I’m wishing, la canzone in cui Biancaneve fantastica mentre prende l’acqua al pozzo, e di Yma Sumac, nota come l’usignolo delle Ande negli anni cinquanta, che cinguetta I wonder, la canzone che Aurora intona con gli uccellini nella Bella addormentata nel bosco.

Le voci che rubano la scena sono quelle di Sinéad O’Connor e di Aaron Neville. Sinéad intona Someday my prince will come da Biancaneve e i sette nani sussurrandola appena. È persa in una fantasia e sembra galleggiare fuori dal suo corpo. La melodia è celeberrima, fu anche ripresa da Miles Davis e da Bill Evans, e O’Connor la accarezza appena, come perduta in un sogno: è solo un minuto di musica ma dentro c’è tutta la favola. Aaron Neville invece prende la marcia di Topolino da Mickey Mouse club e la trasporta nella sua New Orleans, una città in cui si balla e si canta ai funerali. Neville è uno dei cantanti più straordinari che ci siano e con la sua voce dolcissima ma dotata di un malinconico vibrato appena accennato riesce a far sembrare la marcetta con cui Topolino saluta i bambini alla fine del programma un addio: “È il momento di salutare tutta la compagnia… seguiteci e unitevi a noi”. Ancora una canzone che ci chiede di attraversare una soglia, quella tra la vita e la morte, ma ce lo chiede con allegria, con un coro che fa lo spelling del nome di Topolino.

A completare questo strano viaggio che usa i personaggi e le melodie dei film di Walt Disney per portarci dove certo non ci aspettavamo c’è la parata degli elefanti rosa di Dumbo qui musicata dal grande Sun Ra e dalla sua Arkestra, e i titoli di coda sono offerti da Ringo Starr e dal trombettista Herb Alpert che eseguono When you wish upon a star da Pinocchio. “Quando affidi il tuo desiderio a una stella”, canta l’ex Beatle accompagnato dalla magnifica tromba di Alpert, “non fa differenza chi tu sia, tutto ciò che il tuo cuore desidera si realizzerà”.

È incredibile che la Disney, nel 1988, abbia accettato che uscisse un lavoro come Stay awake. Lo stesso Willner diceva che aveva preferito non essere presente nella stanza quando i manager dell’azienda ascoltavano il disco che aveva realizzato. Lui si è limitato a dirgli che non sarebbe stato venduto come un prodotto Disney e che sulla copertina nessuno ci avrebbe messo Paperino. In qualche modo li ha convinti perché questo bizzarro, incantevole disco è ancora lì, ed è forse il modo più bello e originale di festeggiare i cento anni della Walt Disney company.

Artisti vari
Stay awake: various interpretations of music from vintage Disney films
A&M, 1988

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it