La sera del 23 gennaio 1941 all’Alvin theatre di Midtown Manhattan c’era il pubblico delle grandi occasioni. In platea, tra i tanti volti noti, c’erano Igor Stravinskij e la coppia d’oro di Broadway Richard Rodgers e Oscar Hammerstein. Andava in scena la prima assoluta di Lady in the dark, l’ultima commedia musicale del compositore tedesco Kurt Weill (1900-1950), con libretto di Moss Hart e testi delle canzoni di Ira Gershwin. La presenza in sala di Stravinskij e di Rodgers e Hammerstein aveva qualcosa di simbolico: saldava i due mondi di Kurt Weill, l’Europa e l’America.
Il compositore, già famoso in teatro per lavori come l’Opera da tre soldi e Ascesa e caduta della città di Mahagonny, entrambi su libretto di Bertolt Brecht, era fuggito dalla Germania nazista e nel 1935 si era trasferito negli Stati Uniti con la cantante Lotte Lenya, sua moglie. Se la sua musica era già molto eclettica (troppo eclettica secondo i critici nazisti che la trovavano “bastarda” e “degenerata”), a New York lo diventò ancora di più. La sua propensione a mescolare alto e basso, opera lirica e music hall, composizione classica, jazz e fox trot si fece ancora più evidente e la sua attività si concentrò quasi esclusivamente su cinema e teatro.
Luca Cerchiari nella sua Storia del musical scrive che il grande musical di Broadway nasceva dalla fusione delle tradizioni del teatro musicale leggero di tre capitali: Vienna, Parigi e Londra. Vienna per l’elaborazione della grande tradizione classica nell’operetta e l’innesto di danze popolari provenienti dalle propaggini più orientali dell’impero austroungarico, Parigi per la ricchissima e antica attività teatrale legata alla commedia e Londra per l’ovvia contiguità linguistica e culturale con gli Stati Uniti e per la sua grande varietà di generi e registri di commedia musicale, dal burlesque al music hall fino ai più moderni musical del West End.
Con Lady in the dark Weill sembrava intrecciare insieme tutte queste origini: era l’uomo giusto, perché aveva un piede nell’Europa centrale e l’altro a New York. Lady in the dark ha l’intreccio sentimentale di una commedia francese, l’eco lontano della deliziosa classicità di un’operetta viennese e l’ambientazione e gli intenti satirici di tanto musical londinese. Tutto però reso con piglio incalzante e ultramoderno, con continue irruzioni di jazz, di atonalismi e di citazioni varie. Caso raro nel musical statunitense, Kurt Weill non era solo il compositore di musiche e canzoni ma anche l’arrangiatore di tutto lo spettacolo.
Ginger Rogers nella sequenza del sogno del circo dal film “Lady in the dark”
Lo spettacolo, a cominciare dal libretto basato su un’esperienza personale dell’autore Moss Hart con la psicoanalisi, è moderno e destabilizzante anche per ambientazione e contenuto. Liza Elliott, la protagonista, è una donna in carriera, la direttrice di Allure, un’importante rivista di moda. Non posso fare a meno di pensare che il personaggio di Maggie Prescott, la direttrice di Quality Magazine nel film Funny face con Audrey Hepburn e Fred Astaire, sia ispirato proprio a lei. Liza è ricca, elegante, corteggiatissima, indaffarata e molto infelice. Dorme poco, è tormentata da ansie ricorrenti e da quelli che oggi chiameremmo attacchi di panico. Il medico le consiglia di vedere un analista e lei, dopo diverse resistenze, accetta di sdraiarsi sul lettino e di cominciare la sua terapia. Era il 1941: Woody Allen si sarebbe sdraiato sul lettino di uno psicoanalista per la prima volta solo nel 1959.
Un musical irrituale e surrealista
Lady in the dark si apre in modo assolutamente irrituale per un musical: nessuna ouverture ma solo il sipario che si alza in silenzio rivelando le luci anodine di uno studio medico. È solo l’inizio di un musical bizzarro e con diversi richiami al surrealismo. Lo spettacolo è interamente recitato, i principali numeri musicali sono solo tre, organizzati come mini-operette, e corrispondono ai sogni che Liza confida al suo analista. Una sola canzone, la bellissima My ship, è sciolta dall’azione e viene eseguita per intero nel finale. Il tema di My ship è solo accennato in vari punti del musical. È una canzone per bambini che parla di una nave meravigliosa con le vele di seta e i ponti d’oro, carica di spezie e di tesori ma che non vale niente se a bordo non porta con sé anche il “vero amore”. Liza è perseguitata da quel tema musicale, è il grumo intorno al quale si è calcinato un suo trauma antico, quelle note la tormentano, le canticchia di continuo e solo alla fine, quando l’analisi scioglierà i suoi nodi, sarà pronta a cantarla per intero.
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Nella vita reale Liza Elliott si barcamena tra tre possibili fidanzati e nei suoi sogni è tormentata dall’impossibilità a prendere decisioni. Nel numero più spettacolare, il sogno del circo, viene processata e i suoi tre uomini prendono i vari ruoli di difesa, accusa e giuria. In sua difesa Liza canta una delle canzoni più famose del repertorio americano di Kurt Weill: Saga of Jenny (niente a che vedere con Jenny dei pirati, è solo un’omonimia). È una canzone ironica e per la sensibilità di oggi vagamente sessista in cui una tale Jenny racconta la sua triste storia dall’infanzia alla morte. Jenny è una tipa decisa e sa sempre cosa deve fare. A tre anni decide di decorare l’albero di Natale, accende le candeline ma butta via il cerino: la casa prende fuoco e Jenny si ritrova orfana. Decide di cercarsi marito e lo trova. Purtroppo non è il suo. Decide di viaggiare ma diventa una poco di buono, “che non sa dire no in 27 lingue”, alla fine decide di diventare la donna più vecchia del mondo ma “tira le cuoia a 75 anni”. La storia di Jenny insegna che “sei scema – gaga nel testo della canzone – se non impari a startene lì seduta sul muretto ad aspettare”. Nel contesto del sogno la canzone ha un suo ironico e perfido significato: Liza rivendica la sua inattività, ci si attacca come a una coperta di Linus: volete che finisca come la povera Jenny? Estrapolata dal musical, Saga of Jenny può sembrare semplicemente un avvertimento alle donne che pretendono di fare le loro scelte nella vita: attente, che se decidete troppe cose fate una brutta fine.
Un quasi-rap dedicato ai compositori russi
Lo spettacolo ebbe un successo enorme nonostante fosse un musical assolutamente innovativo e mai visto prima. Gertrude Lawrence, la prima interprete del ruolo di Liza Elliott, era a detta dei critici dell’epoca, perfetta: ottima attrice nelle lunghe parti solo recitate e impeccabile cantante e ballerina nelle sequenze dei sogni. A completare il cast un giovanissimo Danny Kaye che si esibiva nel più pirotecnico dei numeri: Tschaikovsky and other russians, un quasi rap inserito da Weill nella sequenza del sogno del circo, in cui spara a mitraglia celebri nomi di compositori russi difficilissimi da pronunciare in inglese. Era un numero comico e virtuosistico che lasciava il pubblico a bocca aperta.
Le canzoni, poi, estrapolate dalle mini-operette in cui Kurt Weill le aveva incastonate, erano tutte delle hit. Oltre a My ship e Saga of Jenny c’erano anche la bellissima One life to live e This is new. Sono diventate tutte degli standard: My ship in particolare è stata ripresa da chiunque, da Judy Garland a Rosemary Clooney, passando per Ella Fitzgerald e Cassandra Wilson.
Come spesso accadeva ai musical di Broadway di quel periodo, non esiste una registrazione integrale del cast originale. Singole canzoni cantate da Gertrude Lawrence o da Danny Kaye erano state registrate per la radio, ma un’incisione che ci restituisca per intero l’emozione di quella prima, con quel cast, quell’orchestra e quel coro non esiste. Insomma, non possiamo sentire Lady in the dark come lo sentirono Stravinskij e lo stesso Weill.
La versione in studio del 1963
Nel 1963 viene organizzata una ripresa in studio dell’intero musical diretto da Lehman Engel. Il cast è diverso perché erano passati più di vent’anni ma la protagonista è una grande star della lirica statunitense, il mezzo soprano Risë Stevens, perfettamente a suo agio in un repertorio più leggero. Stevens era stata una famosa Carmen ed era specializzata nei ruoli en travesti, come Cherubino nelle Nozze di Figaro, Octavian nel Cavaliere della rosa e Orfeo nell’opera di Gluck. Aveva però cominciato con la commedia musicale e sapeva benissimo come cantare in modo non troppo spinto o lirico. “Nel ’41 ero all’Alvin theatre”, dice nelle note del disco, “e ho visto la grande Gertrude Lawrence nel ruolo di Liza Elliott. Era superba e nel riprendere il ruolo di Liza mi rifaccio completamente a lei”.
A causa della lunghezza dei long playing degli anni sessanta diversi pezzi sono stati accorciati, ma Risë Stevens brilla sia nei numeri solisti sia negli insieme, recita e canta con gusto e divertimento. Anche le foto prese in studio durante le sessioni di registrazione la mostrano rilassata e sempre sorridente. La copertina del disco è tutta in rosa, con Stevens in abito da sera nelle sue funzioni di direttrice di Allure, telefono alla mano e pacchi di boutique di lusso sparsi intorno a lei. È chiaramente una citazione della scena di Funny face in cui Kay Thompson canta Think pink. Una scena che in qualche forma è stata citata anche nella sequenza del Diavolo veste Prada in cui Miranda Pristley (Meryl Streep) entra in ufficio.
Il successo di Lady in the dark fu tale che ci fu una gara tra gli studios per accaparrarsi i diritti cinematografici. Alla fine la spuntò la Paramount, che produsse un fastoso film con Ginger Rogers nella parte della protagonista. Costumi e scenografie erano spettacolari e passò alla storia una sua gonna in visone foderata all’interno di lustrini rossi. Il film, rivisto oggi, è pessimo. Anzitutto perché quasi tutti i numeri musicali sono stati tagliati (perfino My ship viene solo canticchiata e mugugnata qua e là da Ginger Rogers), poi perché la storia, senza la raffinatezza musicale di Kurt Weill e l’accortezza letteraria di Moss Hart e Ira Gershwin, diventa semplicemente una commedia misogina, normativa e antifemminista. Nei sogni Ginger Rogers è vestita in modo fantasmagorico e seducente, nella sua realtà di donna in carriera è asessuata e indossa mise quasi maschili. Più volte viene chiamata dai suoi pretendenti “lady boss” (signora capa), con più di una punta di paternalistico disprezzo. L’idea di fondo, nella Hollywood pudibonda, normativa e normalizzante dei tempi di guerra (il film è del 1944), è che Liza è infelice perché è troppo ambiziosa e perché dalla vita desidera troppo. Quanto di più lontano dalla Liza Elliott tormentata e complessa ma sempre pronta e brillante di cui ci siamo innamorati nel musical di Kurt Weill. Il film si può vedere per intero su YouTube e, nonostante sia invecchiato molto male, offre diversi momenti di meraviglia, soprattutto per quanto riguarda scenografie, parrucco e costumi. Peccato solo per un technicolor che avrebbe un disperato bisogno di restauro.
L’edizione in cd uscita nel 1997 per la collana Masterworks Heritage della Sony, oltre all’intera produzione del 1963 contiene, come bonus, anche i pezzi cantati da Danny Kaye nel 1941, tra cui l’imperdibile Tschaikowsky and other Russians. Su Spotify trovate tutto il pacchetto.
Kurt Weill’s lady in the dark
The original 1963 studio cast recording
Sony Masterworks Heritage, 1963/1997
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