“Nel medio evo mi avrebbero accusata di essere una strega!”, esclama l’eurodeputata olandese Sophie in ‘t Veld nel bel mezzo della nostra chiacchierata telefonica. Siamo nel 2012 e i roghi sono passati di moda, ma al Parlamento europeo gli animi ancora s’infiammano quando si parla di religione o, meglio, del rapporto tra religione e politica. Nel 2004 In ‘t Veld ha fondato la European Parliament Platform for Secularism in Politics, per cercare di contrastare l’influenza - a suo avviso sproporzionata - delle lobby religiose sulle istituzioni europee. Il problema non è il lobbying in sé (attività legittima e necessaria nonostante la pessima reputazione, a volte giustificata, di chi la esercita). Il problema è che le organizzazioni religiose, pur difendendo posizioni condivise solo da una minoranza di cittadini europei, sono trattate con particolare riguardo dalle istituzioni europee. E questo fatto incide su politiche - nel campo della ricerca scientifica, dei diritti delle donne e degli omosessuali, dell’istruzione e via dicendo - che invece toccano tutti i cittadini europei.
Con l’arrivo del socialista Martin Schulz alla presidenza del Parlamento europeo, i laici hanno tirato un sospiro di sollievo. Il suo predecessore, il conservatore Jerzy Buzek, è un ardente difensore della “dimensione pubblica” della religione. Durante il suo mandato, il vicepresidente incaricato dei rapporti con le organizzazioni religiose e non confessionali (ci sono quattordici vicepresidenti, ognuno con competenze diverse attribuite dal presidente) era un vescovo della Chiesa riformata romena, László Tőkés. Avete letto bene: un vescovo. Quando gli veniva fatto notare che forse non era la persona più adatta per occuparsi di quel tema, ribatteva indignato che non accettava di essere “discriminato per la sua religione!” (l’ho sentito con le mie orecchie). “Il dialogo era impossibile”, spiega Pierre-Arnaud Perrouty del Centre d’action laïque (CAL), un’associazione belga che rappresenta gli interessi della Federazione umanista europea presso le istituzioni di Bruxelles.
Sfortunatamente la regola non scritta dell’alternanza politica vale solo per la carica di presidente del PE. Questa settimana è stato reso noto il nome del successore di Tőkés: l’ungherese László Surján, anche lui del Partito popolare europeo (per la precisione di Fidesz, il partito di Viktor Orbán). Non sarà un religioso come Tőkés, ma dopo tutte le polemiche e le incomprensioni di questi ultimi due anni e mezzo ci si poteva aspettare una scelta più equilibrata da parte di Schulz.
In Commissione i laici non se la passano meglio, però una piccola vittoria l’hanno ottenuta: dopo essere stati sistematicamente ignorati dal BEPA (Bureau of European Policy Advisers), che tra le altre cose cura i rapporti tra il presidente Barroso e le organizzazioni religiose e non confessionali, il 19 ottobre 2011 hanno presentato una denuncia al Mediatore europeo (denuncia peraltro seguita da un’interrogazione parlamentare dell’eurodeputato francese Patrick Le Hyaric). Ora la Commissione ha tempo fino al 28 febbraio per chiarire secondo quali criteri conduce quel “dialogo regolare, aperto e trasparente” con le organizzazioni religiose e non confessionali previsto dall’articolo 17 del trattato di Lisbona. Finora, assicurano al CAL, il suddetto dialogo ha brillato per parzialità e opacità, favorendo le organizzazioni religiose.
Nell’attesa della risposta di Barroso & Co., e anche se ci sarebbe ancora molto da scrivere sulle lobby religiose e sui rapporti decennali tra la chiesa cattolica (ma non solo) e le istituzioni europee, mi limiterò a segnalare un video realizzato dal CAL dopo un incontro particolarmente frustrante al Parlamento europeo. Imperdibile ciliegina: il commento, su quello stesso incontro, della blogger spietatamente antilaica Talpa brusseliensis christiana.
Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale (@ettaspin).
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