Come il resto d’Europa, anche il Belgio è stato travolto dal ciclone Tarantino: preceduto da recensioni entusiastiche, il suo ultimo film Django unchained è uscito oggi nei cinema. Ma solo qui si parla anche di un altro Django, perché proprio oggi, per il diciannovesimo anno di seguito, comincia il festival Djangofolllies, omaggio musicale a uno dei più grandi chitarristi jazz di tutti i tempi.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Il Belgio purtroppo ha la brutta abitudine di farsi soffiare i suoi artisti più noti, e questo in genere accade in due fasi: l’artista a un certo punto della sua vita si trasferisce all’estero; con il passare del tempo tutti si dimenticano che è belga. Ecco perché c’è ancora chi pensa che Jacques Brel, Georges Simenon e Amélie Nothomb siano francesi (un discorso a parte andrebbe fatto per Tintin e i Puffi).

Nel caso di Django Reinhardt, una rapida ricerca online conferma che la sua nazionalità è materia opinabile. Jean (all’anagrafe) nasce il 23 gennaio 1910 in una famiglia manouche, o sinti, che in quel periodo ha fermato la propria roulotte in un angolo sperduto della Vallonia (e per sperduto intento davvero [sperduto][2]). Dopo la prima guerra mondiale la madre si trasferisce con i figli in Francia, ed è lì che Django cresce e diventa famoso, nonostante l’incendio che nel 1928 gli toglie l’uso di due dita della mano sinistra.

Ma in fondo che importa la nazionalità? Più paesi lo celebrano e meglio è! Fino al 27 gennaio Djangofolllies propone concerti in tutto il Belgio, mentre in Francia il [Festival Django Reinhardt][3] di Samois-sur-Seine (dove è sepolto) si svolgerà dal 26 al 30 giugno. E poi c’è sempre internet, dove ho appena scoperto questo meraviglioso video intitolato Django par ses proches (Django raccontato dai suoi cari). Al misterioso utente di YouTube eliep37: grazie per questa chicca.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it