L’eurodeputata Ulrike Lunacek (@ Unione europea 2014 - Fonte: Parlamento europeo).

Basterebbero loro a sfatare il mito di un’Austria ultracattolica e conservatrice: l’ormai celeberrima Conchita Wurst e la meno nota ma altrettanto agguerrita Ulrike Lunacek, candidata alle prossime elezioni europee dopo un primo mandato a Bruxelles. Tra il 2009 e il 2014 Lunacek è stata co-presidente, insieme al britannico Michael Cashman, dell’[Intergruppo del Parlamento europeo sui diritti LGBT][1]. Gli intergruppi sono associazioni informali di eurodeputati che, pur appartenendo a gruppi politici diversi, condividono un interesse o una causa. Nella legislatura che si è appena conclusa [se n’erano creati 27][2] intorno ai temi più vari, dall’ambiente e i giovani alla tutela dei percorsi che portano a Santiago di Compostela (quella che si dice una questione di publico interesse). Creato nel 1994, l’intergruppo LGBT è stato il più importante di questa settima legislatura, con 174 membri. Tra i paesi più rappresentati: Svezia, Paesi Bassi, Danimarca e Finlandia. In fondo alla graduatoria: Polonia, Grecia, Spagna e Italia.

Nata nel 1957, passata dall’interpretariato al giornalismo alla politica, Lunacek è stata la prima deputata dichiaratamente lesbica del suo paese. Eletta alle europee del 2009 nella lista dei Verdi, ha concluso il suo primo mandato con una bella vittoria: l’adozione della Relazione sulla tabella di marcia dell’UE contro l’omofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere, anche detta [Relazione Lunacek][3]. Approvata il 4 febbraio con 394 voti a favore, 176 contrari e 72 astensioni, la relazione ha potuto contare sull’appoggio di 126 eurodeputati “ribelli” che non hanno seguito la linea del proprio gruppo.

“Quando sono entrata al Parlamento europeo”, ricorda Lunacek, “sapevo che l’intergruppo LGBT esisteva dal 1994, l’anno dell’adozione della [Risoluzione sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità][4]. Sapevo anche che, eccetto la discriminazione, molte questioni – dal matrimonio all’adozione – non erano di competenza dell’Unione. Infine, sapevo che la direttiva contro la discriminazione era bloccata al Consiglio”.

Cinque anni dopo, lì giace. Proposta dalla Commissione nel 2008, la [direttiva][5] imporrebbe agli stati membri di combattere ogni forma di discriminazione in tutti gli ambiti di competenza dell’UE: una prova di civiltà che alcuni governi europei sembrano considerare eccessiva.

In questi cinque anni l’intergruppo LGBT ha partecipato ai gay pride più difficili, nell’UE (Bratislava, Budapest, Riga, Vilnius) come all’estero (Balcani e Turchia). “Inoltre abbiamo lavorato molto con le delegazioni estere dell’Unione”, spiega Lunacek, “informandole sullo stato dei diritti LGBTI nei paesi in cui si trovano. E nel giugno del 2013, il Consiglio ha adottato un importante [documento][6] sugli ‘orientamenti per la promozione e la tutela dell’esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI)’, rivolto in particolare ai funzionari del Servizio europeo per l’azione esterna”.

Proposta del Parlamento, l’idea di un piano d’azione contro l’omofobia è stata invece respinta a dieci riprese dalla Commissione. “Viviane Reding, commissaria per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, ha sempre sostenuto che non era necessaria”, dice Lunacek. “Ci ha invece sostenuti quando abbiamo proposto che l’Agenzia europea per i diritti fondamentali facesse un’[indagine][7] sulle discriminazioni contro le persone LGBTI, indagine che ha peraltro confermato la necessità di un piano d’azione contro l’omofobia. Si sente parlare spesso di discriminazioni contro le persone disabili e i rom, ma appena si parla di LGBTI molto si irrigidiscono, come se parlare di omofobia volesse dire parlare di sesso!”.

La Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo ha quindi deciso di presentare una relazione e Lunacek, in quanto relatrice, è diventata la nuova arcidiavola dei conservatori europei più estremisti: una [petizione][8] lanciata dal movimento francese La manif pour tous ha raccolto 220mila firme, mentre dalla Spagna sono partite molte delle 40mila email di protesta (“solo una era davvero inquietante”, precisa). Nel suo discorso a Strasburgo prima del voto, Lunacek ha dichiarato: “Non mi sarei mai aspettata tanta resistenza a una relazione che parla del diritto delle persone ad amare e a vivere la propria vita senza paura”.

Prima di lei, i crociati della buoncostume avevano preso di mira Edite Estrela, colpevole di aver presentato una Relazione sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi che, dopo un andirivieni legislativo, era stata bocciata il 10 dicembre 2013. “Abbiamo imparato la lezione”, riconosce Lunacek, “e per la nostra relazione abbiamo lavorato a stretto contatto con i relatori ombra” (eurodeputati incaricati di seguire dei dossier per conto di gruppi politici diversi da quello del relatore).

“Siamo stati fortunati, perché la relatrice per il Partito popolare europeo, Roberta Metsola, giovane eurodeputata maltese, ha fatto un ottimo lavoro. Si è assicurata che le competenze degli stati membri non fossero messe in discussione suggerendoci di inserire una clausola sulla sussidiarietà. Questo non ha impedito ad alcuni di mentire dicendo che la mia relazione avrebbe imposto il matrimonio gay in tutta l’Unione, ma abbiamo potuto rassicurare degli eurodeputati, in particolare italiani. Certo, abbiamo dovuto fare dei compromessi, ma era l’unico modo per far passare il testo. La relazione non è vincolante, però indica cosa andrebbe fatto a livello europeo ed è di per sé un atto politico importante”. Secondo Lunacek, “la relazione Estrela ha incontrato più resistenza anche perché l’aborto, in alcuni ambienti, è molto più controverso dei diritti LGBTI. A Malta, per esempio, i conservatori difendono i diritti LGBTI ma non il diritto all’aborto”.

Con il nuovo Parlamento europeo si formerà un nuovo intergruppo LGBT “e ci rimetteremo al lavoro”, assicura Lunacek. Intanto, in vista delle elezioni, a gennaio l’associazione ILGA-Europe ha lanciato la campagna “[Come out][9]”, chiedendo ai candidati di impegnarsi a difendere i diritti umani e l’uguaglianza LGBTI. Questa mattina avevano firmato [868 candidati][10] (ma il numero aumenta rapidamente) e - sorpresa - gli italiani erano in testa con 134 nomi. Sempre secondo ILGA-Europe, che ha appena pubblicato il suo [rapporto 2014][11], l’Italia ha guadagnato sei punti percentuali nella classifica europea sulla tutela dei diritti LGBTI, ma rimane al 32° posto su 49 paesi europei.

Per finire su una nota più allegra, ecco una canzone dedicata a Christine Boutin, candidata del movimento francese Force Vie alle europee, che ha definito Conchita Wurst “l’immagine di una società che ha perso i propri punti di riferimento e nega la realtà della natura umana”.

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Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin

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