Eh sì, dunque un festival davvero strano. A cominciare dal concorso. Ma con la premessa che se volete leggere altre informazioni e considerazioni sui film del Concorso (e parzialmente sui lungometraggi presentati nelle altre sezioni) oltre a quelle che seguono, e votazioni e annotazioni di critici provenienti da vari media, potete andare qui. Per il programma di Cannes a Roma potete invece andare qui.
Una postilla: quest’anno Cannes a Roma si è fatto, in ritardo, grazie all’impegno dei privati e di sponsor volenterosi come Il Fatto Quotidiano (il quale ha stanziato una cifra intorno ai cinquemila euro, cifra tutt’altro che piccola di questi tempi) perché il comune di Roma, nella persona del sindaco uscente Gianni Alemanno, è scappato.
C’è più sesso quest’anno, un sesso libero, talvolta gay, talvolta perverso, talvolta quasi “puro”. Un sesso, appunto, presente soprattutto nei film del Concorso, anche se non è tanto a Behind the Candelabra di Steven Soderbergh che pensiamo quanto piuttosto a L’inconnu du Lac di Alain Guiraudie, film di spicco della sezione Un Certain Regard, oppure a un opera in concorso come Jeune et Jolie di François Ozon, fino ovviamente alla Palma d’oro, *La Vie d’Adéle *di Abdellatif Kechiche, dove il sesso, un sesso in gran parte amoroso, anzi passionale, è ripreso senza falsi pudori con la cinepresa incollata su corpi adolescenti…
Più spesso, si è espresso un sesso sotto forma di violenza perversa. I corpi, la carne, nella sua bellezza naturale oppure colpita, se non martoriata. Ma andiamo con ordine.
L’inconnu du Lac di Alain Guiraudie - Francia (Un Certain regard) – distribuzione italiana: Teodora
Cosa c’è di più bello del naturale? L’approccio nel “naturale” lo ritroviamo proprio ne L’inconnu du Lac di Guiraudie, praticamente metaforizzato nel film dall’ambientazione nella natura, vicino ad un lago circondato da un bosco, luogo di rimorchio tra uomini. Estate da nudisti gay, estate da incontri gay, e dalle molteplici metafore. Piena di umorismo, piena di poesia, piena d’inquietudine. Per nulla disgustoso nel farci assistere ad amplessi gay, se non si è intaccati dalla pruderie, strana – nel 2013 – malattia italiana endemica, forse legata alla nostra doppiezza cattolica.
Quello che è interessante notare è che si possono avere stili diversi pur all’interno di un approccio genericamente simile: i due film di [Kechiche][4] e Guiraudie hanno infatti in comune una recitazione che fa sentire poco o per nulla la sua costruzione e una luce naturalista. Ma quella di Guiraudie è una luce leggera e vibrante da estate perfetta, calda e fresca, una “luce luminosa” prima di precipitare, sostanzialmente alla fine, nel pozzo dell’inquietudine, prima crepuscolare, poi notturna. Kechiche, pur non ambientando il film in periodo invernale (quantomeno in gran parte), non ti fa quasi mai sentire la stagione: si è immersi in un “tempo atemporale”, quello di un intensissimo rapporto a due, un vissuto filmato come un flusso, segmentato da un montaggio in compenso non propriamente rilassato.
[La Vie d’Adèle – Chapitre 1&2][5] di Abdellatif Kechiche – distribuzione italiana: Lucky Red
La recitazione è piuttosto concitata e vivace (anche se meno rispetto a Couscous, forse il film più celebre del regista), quella del film di Guiraudie, per quanto abbastanza verace, nel complesso è più posata, speculare all’acqua ben poco increspata del lago (anche il personaggio dell’etero (?!?), tipico personaggio del sud della Francia, non è certo un esagitato) che verrà ben presto intaccata da un elemento perturbatore, il bel latin lover in versione gay, anch’esso metafora dai significati polivalenti.
Ma il sesso, in maniera esplicita o metaforica, pervade molti film del Concorso, ben più – per citare soltanto le ultime edizioni – di quello grigio del 2010 dove vinse il magnifico Ufo tailandese (Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul) grazie all’altrettanto magnifico alieno di Hollywood (Tim Burton) presidente della Giuria e ben più delle edizioni successive del 2011 (The Three of Life di Terrence Malick) e del 2012 (Amour di Michael Haneke) dove la selezione si riprese nettamente, ripresa confermata anche quest’anno. Tre Palme fondate su una sorta di dialogo vita-morte-rinascita. E se con la Palma 2013 siamo invece nel pieno, anzi nell’epicentro della vita, è vero che anche *Adèle *comprende quel tipo di morte, di lutto, rappresentato dalla fine di un rapporto amoroso fondamentale, elemento che fa parte dell’essenza della vita. Del “Naturale” con la n maiuscola.
[Jeune et Jolie][6] di François Ozon - distribuzione italiana: Bim
Ecco ora un breve passaggio in rassegna di alcuni film del Concorso. Si va dalla perversa violenza – che ha molto di sessuale – filmata in stile patinato ma concettuale (o che tale vorrebbe essere) di Nicolas Winding Refn in* Only God Forgives* fino alla perversione presunta e algida, insensata e autodistruttiva, tenera e mostruosa, di un adolescente Jeune et Jolie che si prostituisce con uomini maturi o anziani, interpretata dalla peraltro…très jolie Marine Vacth nel film di Ozon. E si passa per la violenza implacabile, terrificante, di Heli del messicano Hamat Escalante anche qui con qualcosa della sessualità sadica (si veda la sequenza della tortura, sequenza chiave del film), ma priva di qualsiasi estetizzazione. Violenza, talvolta perversa, ma poco estetizzata e compensata da una grande attenzione al dolore umano nel suo sbandamento, è quella filmata da Jia Zhang-ke in A Touch of Sin, in particolare nel personaggio femminile del centro di prostituzione.
Si prosegue con i metaforici vampiri di Jim Jarmush di Only Lovers Left Alive, chiara metafora degli artisti (con)dannati ad interrogarsi sul senso dell’esistenza umana in un mondo ormai deserto che ha smesso d’interrogarsi e quindi morto, ma dove i giovani che non disdegnano il collo di bei giovani (e quindi la vita) vengono cacciati, e si continua ancora, altro film sul senso dell’arte nel mondo di oggi, ma dai toni leggeri e spiritosi, con la perversione simulata, perché artigianale e suggerita più che altro dalla forza della parola recitata, dal duo Amalric-Seigner sul piccolo palcoscenico di un dimenticato e/o nascosto teatro parigino in Venus in Fur, dove Polanski metaforizza, gioca e castiga, tra le altre cose, il ruolo di dominazione del regista sull’attore, con una bella autoironia, per quanto ci sembri compiaciuta.
[Only Lovers Left Alive][7] di Jim Jarmush
(sequenza con sott. italiani)
E poi un altro film vampirico, Borgman di Alex Van Varmerdam. Opera incompiuta dove il regista, a suo dire ispirandosi a testi critici sul marchese De Sade, tratta di violenza e perversione con l’intento, che ci è parso piuttosto vano, di castigare la famiglia piccolo-borghese. Mentre Behind Candelabra di Soderbergh è un ottimo film ma dalla fattura molto classica che smorza, credo volutamente, la “diversità” presunta degli “scandalosi” Michael Douglas e Matt Damon (a proposito: si conferma che interpretare parti gay non colpisce più la carriera di un attore, né il suo essere sex symbol, come si dice, del jet set), per chiudere infine con la purezza scandalosa della prostituta-angelo Marion Cotillard nel meraviglioso film di James Gray The Immigrant, e con quella della prostituta graziosa e quasi fanciullesca del tchadiano Grisgris. Due film pudici. In quest’ultimo primeggia, su quello della prostituta, il corpo sensuale del ballerino malgrado tutto Grisgris, ma entrambi i film sono connotati da finali altrettanto disperati, con vaghe finestre di speranza, eppure opposti nel rapporto “naturale” alla violenza.
[Behind the Candelabra][8] di Steven Soderbergh – Distribuzione italiana: Medusa
[Grisgris][9] di Mahamat-Saleh Haroun
Questo ci porta a quanto sottolineato da Le Monde (testo scelto dal nostro Piero Zardo per la rivista cartacea e che qui riportiamo in parte). Le Monde lega questo rapporto con la violenza ai soldi, sottolineando che oltre ai film con una fattura da vecchia scuola, dove “senza risparmiare critiche al capitalismo, si capitalizza sui canoni spettacolari” (soprattutto titoli statunitensi come Il Grande Gatsby o Behind the Candelabra), si sono visti altri film, la maggioranza, che “segnano una rottura morale con l’ordine sociale, ci fanno cambiare dimensione, fanno ricorso alla violenza: A touch of sin di Jia Zhang-ke, Borgman di Alex Van Warmerdam, Grisgris di Mahamat-Saleh Haroun, Shield of Straw di Takashi Mike, Heli di Amat Escalante, Les Salauds di Claire Denis e tanti altri. Dalla visione di questi film si esce atterriti. Il ricorso alla violenza non è un atto di ribellione, ma un gesto disperato e rabbioso. ‘Solo la violenza può servire dove regna la violenza’, scriveva Brecht all’indomani della crisi del 1929. Non è cambiato nulla”.
Gli artisti rappresentano quel che vedono. E se anche un regista principe della delicatezza come Jia Zhang-ke sceglie una linea violenta rispetto al passato, allora è partendo da questa scelta che bisogna interrogarsi sul senso della società di oggi. Ricordo che da adolescente lessi dei libri di Piero Angela e in uno di questi, credo Nel buio degli anni luce, il giornalista scientifico affermava che la società del futuro sarebbe stata o molto violenta o molto pacifica, senza più sostanziali vie di mezzo, tale era la complessità dei problemi, la loro interdipendenza globale, l’aumento esponenziale dei processi industriali e tecnologici che amplificano, come un pantografo, ogni gesto umano, che sia frutto di un intenzione violenta o meno. Mi impressionò molto questa lettura, all’epoca, e mi chiesi se avrei davvero visto il mondo prendere questa direzione. In fondo era quello che, qualche anno prima, già presagivano gli scrittori della fantascienza ancora utopica degli anni settanta.
[A Touch of Sin][10] di Jia Zhang-ke - distribuzione italiana: Officine blu
Ora ci siamo dentro. Un mondo medioevale neo-tecnologico.
Potrà sembrare paradossale, ma penso sinceramente che si possa ancora effettuare un importante inversione di marcia. Spesso è quando si va ben giù nel pozzo, che si compiono le risalite più importanti. Nei movimenti della storia, piccoli e grandi, lo si riscontra. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (grande movimento della storia) alle elezioni amministrative di ieri e l’altro ieri, in particolare a Roma (piccolo movimento della storia).
Ma credo che solo recuperando il senso dell’arte sia possibile recuperare in buona parte quell’interrogazione interiore che essa veicola – anche quando è arte popolare (se è buona arte popolare) – così necessaria sia per una qualità alta della circolazione delle idee, elemento essenziale per superare i momenti critici, sia per recuperare la capacità di affrontare quello che ci angoscia (compreso quindi quanto rappresentato dall’arte), senza la quale si sprofonda nel pozzo vuoto dell’odierna società postmoderna, dall’apparenza luccicante, patinata ed estetizzante ma in realtà nero, anzi cupo, come ci ha insegnato Frederic Jameson.
[L’image manquante][11] di Rithy Panh - Francia (Un Certain Regard)
Senza dimenticare, però, che se oggi è di nuovo il sistema capitalistico tendenzialmente a provocare le violenze sociali più grandi sulle persone, nel passato recente questo primato è stato delle dittature, spesso comuniste, come ci ha ricordato il più bel film di Cannes, il doloroso ma umanissimo documentario autobiografico sugli anni del regime di Pol Pot L’image manquante di Rithy Panh, e ci onora il fatto di ritrovarci in compagnia con un critico fotografico della levatura internazionale come Christian Caujolle nell’esprimere un giudizio estremamente positivo su quest’opera.
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