In America Latina “spesso l’annuncio di Cristo è stato fatto in connivenza con i poteri che sfruttavano le risorse e opprimevano le popolazioni. Oggi la chiesa ha l’opportunità storica di differenziarsi nettamente dalle nuove potenze colonizzatrici ascoltando i popoli amazzonici per poter esercitare in modo trasparente il suo ruolo profetico. La crisi socioambientale apre nuove opportunità per presentare Cristo in tutta la sua potenzialità liberatrice e umanizzante”. È una delle affermazioni chiave contenute nel documento preparatorio (instrumentum laboris) del prossimo sinodo per la regione panamazzonica convocato da papa Francesco dal 6 al 27 ottobre, in Vaticano. Vi parteciperanno vescovi e rappresentanti delle popolazioni indigene, delle comunità locali, religiose, religiosi e laici provenienti – tra gli altri paesi – da Brasile, Perù, Bolivia, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname, Guyana francese.
A partire dall’Amazzonia, dalle sue complessità umane, ecologiche e politiche, il papa ha chiamato la chiesa a raccogliere la sfida di una globalizzazione dal volto umano capace di entrare nel merito del messaggio lanciato con l’enciclica Laudato si’ nel 2015. Al centro del dibattito c’è il futuro stesso del pianeta, la tutela degli ecosistemi e la promozione dell’idea di un’”ecologia integrale”; non solo ambientalismo insomma, ma il principio di un unico sistema vitale totalmente interconnesso. “In Amazzonia – si legge nell’instrumentum laboris, frutto di una consultazione su larga scala delle comunità e delle chiese locali – la vita è inserita, collegata e integrata al territorio che, in quanto spazio fisico vitale e in grado di nutrire, è possibilità, sostentamento e limite della vita. Inoltre, possiamo dire che l’Amazzonia – o un altro spazio territoriale indigeno o comunitario – non è solo un ubi (uno spazio geografico), ma anche un quid, cioè un luogo di significato per la fede o l’esperienza di Dio nella storia”.
Il presidente Jair Bolsonaro ha reso noto il proprio fastidio per il sinodo convocato da Francesco
Naturalmente, l’impegno per fermare le aggressioni predatorie al territorio, la devastazione delle comunità indigene, sono aspetti fondamentali di questa mobilitazione ecclesiale, una scelta che non ha lasciato indifferenti i poteri economici e i governi della regione, a cominciare da quello brasiliano. Il presidente Jair Bolsonaro, da quando la preparazione del sinodo è entrata nel vivo, ha reso noto il proprio fastidio per il convegno convocato da Francesco, usando toni via via più minacciosi. In questa prospettiva non va dimenticato che l’elezione di Bolsonaro ha fatto tremare sia le popolazioni indigene sia quel pezzo di opinione pubblica e di società brasiliana – oltre alle associazioni ambientaliste di tutto il mondo – che da decenni si battono per scongiurare la distruzione della foresta pluviale.
Bolsonaro sta infatti rapidamente cancellando le normative, frutto di decenni di lotte in difesa della foresta, che ponevano limiti allo sfruttamento delle risorse naturali dell’Amazzonia. Ma per contestare l’iniziativa della chiesa, evidentemente, non era sufficiente rivendicare gli interessi economici appaltati a qualche multinazionale, così il governo di Brasilia ha fatto ricorso a un argomento tipico del vittimismo nazionalista. Il vero scopo dell’assemblea che si svolgerà in Vaticano, ha detto Bolsonaro in più occasioni, è quello di espropriare il Brasile dell’Amazzonia con la scusa di farne una gigantesca area protetta transnazionale, addirittura di costruire fittiziamente un nuovo paese sotto forma di “area protetta”.
Per il presidente brasiliano “si tratta della triple A, un territorio di 136 milioni di ettari, che include le Ande e l’Amazzonia, fino all’Atlantico: una grande fascia che verrà posta sotto controllo mondiale, in nome della protezione ambientale”; “vogliono rubarci l’Amazzonia, e noi non siamo d’accordo”, ha detto ancora Bolsonaro e per quanto “la stampa all’estero dica che voglio distruggere l’Amazzonia, in realtà quello che voglio è che l’Amazzonia resti nostra”. Chissà se il presidente quando ha evocato la triple A (Ande, Amazzonia, Atlantico) era consapevole di richiamare alla memoria un’altra, ben più tristemente celebre e famigerata triple A: l’alleanza anticomunista argentina, organizzazione terroristica di estrema destra che ebbe una parte rilevante nell’avvento della dittatura del generale Videla. Ricorsi storici, coincidenze, provocazioni. Sta di fatto che la portata dello scontro in atto è senza precedenti: il presidente del Brasile contro il papa, è davvero il rovesciamento di un mondo e di un’epoca.
Del resto se il papa è argentino, il relatore generale del sinodo è l’anziano cardinale brasiliano Claudio Hummes. Quest’ultimo è anche a capo della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), nata nel 2014, a riprova che la questione è ben presente nella testa di Jorge Mario Bergoglio già da tempo. Hummes, che è un francescano, in passato è stato arcivescovo di São Paulo, una delle diocesi più grandi del mondo; nella sua biografia spicca, tra le altre cose, l’amicizia con il leader della sinistra brasiliana Luiz Inácio Lula da Silva, nata quando questi era ancora un capo sindacale e insieme andavano, alla fine degli anni settanta, a parlare nelle piazze operaie mentre stava nascendo un nuovo sindacalismo, democratico e non violento. Fu Benedetto XVI a chiamare in curia il cardinale Hummes quale prefetto della Congregazione per il clero. Il porporato brasiliano è stato anche fra i grandi elettori di Bergoglio in conclave; quando dallo scrutinio fu chiaro che l’arcivescovo di Buenos Aires sarebbe stato eletto, il cardinale si rivolse al nuovo papa dicendo: “Ricordati dei poveri”. Il legame fra i due insomma è forte. In quanto relatore al prossimo sinodo, il cardinal Hummes è stato accusato dal ministro della sicurezza brasiliano, il generale Augusto Heleno, di “tramare contro l’interesse nazionale”.
In una recente intervista al quindicinale dei gesuiti Civiltà Cattolica, l’ex arcivescovo di São Paulo ha detto che il sinodo “sta generando resistenze e malintesi. Alcuni se ne sentono in qualche modo minacciati, perché ritengono che non verranno rispettati i loro progetti e le loro ideologie. Soprattutto, direi, quei progetti di colonizzazione dell’Amazzonia animati a tutt’oggi da uno spirito di dominio e di rapina: venire a sfruttare, per poi andarsene con le valigie piene, lasciandosi dietro la degradazione e la povertà della gente del posto, che si ritrova immiserita e con il proprio territorio devastato e contaminato”. “La chiesa in Amazzonia – ha aggiunto – sa bene di dover essere profetica, non accomodante, perché la situazione è clamorosa e mostra una costante e persistente violazione dei diritti umani e una degradazione della casa comune. E, peggio ancora, questi crimini per lo più restano impuniti”.
Partecipando nel marzo scorso al Forum internazionale dell’informazione ambientale a San Miniato, in provincia di Pisa, Mauricio López, segretario della Repam, ha osservato: “L’Amazzonia è una regione in cui vivono 33 milioni di persone ed è davvero il polmone dell’umanità, i media devono aiutare ad amazzonizzare il mondo. Basti pensare che il 20 per cento dell’acqua consumata sul pianeta viene dal territorio amazzonico, questo significa che tutto il mondo ha il dovere di interessarsi a questa regione”. Sotto accusa sono l’espansione indiscriminata del sistema agricolo e dell’allevamento e la diffusione senza freni di attività estrattiva mineraria; “se il livello di deforestazione arriva al 40 per cento - ha detto ancora Mauricio López - il futuro del pianeta sarà a rischio”.
Un ministero per le donne
Il sinodo tuttavia, è destinato ad aprire una discussione accesa anche all’interno della chiesa. Tra i temi in discussione, infatti, ce ne sono alcuni dirompenti. Il primo obiettivo dell’incontro che si svolgerà n Vaticano è quello di dare impulso a un clero indigeno (non solo indigenista, cioè amico delle popolazioni indigene, ma autoctono); quindi è stata avanzata la proposta di “ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalle loro comunità, sebbene possano avere una famiglia già costituita e stabile, al fine di assicurare i sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana”. Infine è emersa la necessità di “identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella chiesa amazzonica”.
In sostanza, dalla consultazione presinodale è scaturita l’esigenza – considerata la scarsità di sacerdoti e missionari nella regione, le distanze immense che pochi preti devono percorrere per seguire le diverse comunità – di ordinare uomini sposati, possibilmente indigeni. Anche l’idea di un ministero per le donne va nella direzione di un ampliamento del ruolo delle laiche e dei laici nell’evangelizzazione e nel lavoro pastorale. Scelte solo locali o che riguarderanno la chiesa universale?
L’uno e l’altro. Il progetto di una chiesa sinodale promosso da Francesco significa appunto la possibilità di aprire strade originali in base alle diverse realtà, culture e società del mondo, all’interno di un quadro unitario rappresentato sempre da Roma. Allo stesso tempo nessuno può escludere a priori che un’eventuale innovazione su questi punti possa successivamente essere fatta propria da altre chiese locali. Per tale ragione le truppe conservatrici anti Bergoglio stanno già affilando le armi in vista del sinodo, pronte a dare battaglia. Il timore dei tradizionalisti è infatti che attraverso la selva amazzonica prenda corpo in via definitiva la strategia riformatrice portata avanti dal pontefice argentino.
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