Vittime innocenti del terrore jihadista: è sotto questa categoria, semplice e drammatica al tempo stesso, che ritroviamo insieme i morti di Parigi, Nizza, Vienna e Kabul. Anche la capitale afgana è stata infatti scelta come obiettivo per una strage (22 morti il 2 novembre) nel cuore dell’università dove si stava svolgendo una cerimonia per la consegna dei diplomi di laurea; l’attacco è stato rivendicato dal gruppo Stato islamico (Is), sempre più simile a un marchio globale del terrore la cui identità politica resta però sfuggente e fumosa. Quasi sotto silenzio è passato invece un altro sanguinoso attentato – anch’esso firmato dall’Is – avvenuto sempre a Kabul il 24 ottobre in un centro educativo sciita e che ha provocato la morte di più di 20 persone.
Nonostante la matrice simile se non identica dei diversi agguati, un’opinione pubblica europea già provata dalla crisi derivata dalla pandemia ha faticato a mettere in relazione i fatti avvenuti in Francia e Austria con quanto accaduto in Afghanistan. Eppure un dato è noto da tempo: l’estremismo fondamentalista combatte su due fronti: contro l’occidente da una parte, e dall’altra contro tutti quei musulmani che vogliono vivere in dialogo con la modernità e con il proprio tempo. Il presidente francese Emmanuel Macron, con qualche ritardo, ha condannato anche l’attentato all’università di Kabul in un tweet nel quale fra l’altro ha affermato: “L’istruzione è un bene universale dell’umanità che dobbiamo proteggere tutti insieme”. Nel frattempo in Francia e altrove ripartiva il dibattito sulla difesa della laicità intesa come valore forte della repubblica e sulla libertà di espressione quale bene intangibile dell’eredità dell’illuminismo (in relazione anche alla pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto).
Più articolata la risposta del cancelliere austriaco Sebastian Kurz dopo l’attacco nel centro di Vienna. Dopo le prime reazioni – “Dobbiamo essere coscienti che non c’è una battaglia fra cristiani e musulmani o tra l’Austria e i migranti,” ha detto. “Questa è una lotta tra le molte persone che credono nella pace e alcuni che auspicano la guerra” – il premier ha fatto seguire la promessa di usare il pugno duro contro fondamentalisti e terroristi. Kurz ha quindi annunciato una serie di provvedimenti come la possibile istituzione del reato di “islam politico” o un’estensione dei poteri istituzionali per chiudere luoghi di culto che favoriscono la radicalizzazione. Infine il cancelliere ha prospettato misure per prosciugare i flussi finanziari che alimentano le organizzazioni terroristiche.
Le famose teorie di Huntington hanno oggi come unici e veri portabandiera non degli intellettuali europei, ma i terroristi
Secondo Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione impegnata da sempre nel dialogo ecumenico e interreligioso, il nodo da sciogliere resta quello tra fautori dello scontro di civiltà e sostenitori di una convivenza possibile. “Il problema di fondo è avere ben chiaro che chi promuove e mette in pratica gli attentati terroristici vuole lo scontro di civiltà”, dice. “Le famose teorie di Huntington hanno oggi come unici e veri portabandiera non degli intellettuali europei, per fortuna, ma i terroristi. La questione con la quale dobbiamo confrontarci, allora, è la minaccia alla pace sociale, alla convivenza; il tentativo è quello di scatenare attraverso le catene di attentati e le provocazioni, delle reazioni contrarie dello stesso tipo, ma non si può assolutamente cadere nella trappola di chi mette in pratica simili strategie”.
Il tema è tutt’altro che irrilevante: l’Europa sta infatti mutando profondamente – o forse meglio rinnovando – alcuni tratti della sua identità diventando sempre più multiculturale, multireligiosa e multietnica. Younis Tawfik, intellettuale e scrittore di origine irachena, laico, che da molti anni vive in Italia, vede aspetti critici su entrambi i versanti della questione. “In generale, si può dire che la laicità è un valore nuovo, dell’Europa moderna, mentre i musulmani si aggrappano a valori molto antichi. Ora, qualcuno intende la laicità come una sorta di libertà estrema all’interno della quale è anche possibile denigrare oppure offendere i simboli religiosi e i valori degli altri. E questo è un errore molto grave, perché l’affermazione di certi diritti fondamentali , tra i quali la libertà di espressione, non deve diventare una forma fanatica di libertà estremista, che calpesta il credo o i simboli dell’altro”.
D’altro canto, rileva Tawfik, “l’immigrato che arriva in un paese europeo per prima cosa deve inserirsi in quella realtà, comprenderla, rispettarne la cultura, e deve anche portare con sé un’idea di convivenza che a volte significa sacrificio”. Ma tutto questo spesso non avviene, anzi: “Per quello che ho potuto vedere io, la maggioranza dei musulmani che arriva in Europa, per esempio in Italia, ‘fisicamente’ si trova qui, ma con la testa è rimasta nel paese d’origine”. E in tal modo è come se i nuovi arrivati rimanessero “estranei rispetto alla realtà nella quale si trovano e questo indubbiamente crea conflitto”. È in un simile contesto che le vignette pubblicate da Charlie Hebdo hanno aperto un dibattito intenso, a tratti aspro, su ciò che sia lecito o meno pubblicare in nome della libertà d’espressione. “Cosa aggiunge all’arte, alla libertà o alla laicità prendere la figura di Maometto e sbeffeggiarla? “, si chiede Tawfik. “Ho visto delle caricature di Gesù e della Madonna e a me, che sono laico e vivo in Italia da tanti anni, hanno fatto orrore”. “Quando sono arrivato in Italia – ricorda – avevo 19 anni, ho messo piede a Roma e sono andato subito alla cappella Sistina, rimasi non so quante ore a guardare quelle immagini, poi sono andato a vedere la Pietà di Michelangelo nella basilica di San Pietro e mi è venuta la pelle d’oca, perché si tratta di concetti che vivono dentro di noi fin dalla nascita”.
La sfida è quella di passare dalla diffidenza all’incontro, un salto non da poco. Avendo accolto nelle nostre società persone provenienti “da universi culturali diversi dal nostro sarebbe bene essere più elastici e comprensivi”, rileva a sua volta il presidente della Comunità di Sant’Egidio: “Per i musulmani quelle vignette sono un’offesa, di questo pure è necessario tenere conto. Poi certo alla fine dobbiamo sempre ritrovarci tutti su dei fondamenti comuni che sono quelli delle leggi e delle costituzioni su cui si reggono i nostri stati”.
Riconoscere l’altro
Secondo padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, l’organizzazione dei gesuiti che si occupa di accogliere i rifugiati, il tema è anche quello di una laicità capace di comprendere e di accettare il dato religioso come elemento che non può essere escluso o rimosso dal discorso pubblico: “Credo che la libertà di espressione debba tener conto delle circostanze, dei tempi in cui ci si esprime, non tutte le cose si possono dire in ogni momento e non per questo si deve parlare di bavaglio, c’è bisogno invece di grande intelligenza. È essenziale capire che viviamo in società multiculturali e multireligiose”. La laicità, per padre Ripamonti, necessita di una grande “onestà intellettuale”, deve essere capace di “riconosce l’altro anche nelle differenze di cui è portatore. Il credente e il non credente devono e possono riconoscere le peculiarità che appartengono a ciascuno senza mettere tra parentesi alcune caratteristiche come appunto l’appartenenza religiosa”. Uno degli aspetti del problema è, per il religioso, “la reciproca scarsa conoscenza che lascia spazio a chi strumentalizza la fede. In Europa il fatto che l’islam sia minoranza può invece alimentare una riflessione importante sul rapporto tra islam, laicità e modernità”; insomma se si accetta un terreno di confronto con l’altro anche l’islam ne trarrà benefici aprendosi appunto a una laicità non ideologica o escludente.
C’è però anche un problema di opportunità, per esempio in relazione alle famose vignette. O, se vogliamo, la necessità di applicare un principio di pragmatismo che pure dovrebbe essere strumento politico per eccellenza. “Bisogna valutare se è necessario offendere i musulmani con delle caricature su Maometto, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non vede l’ora di far cadere la Francia e Macron in questa trappola e aizzare un miliardo e mezzo di musulmani contro di loro”, osserva Tawfiq. Dal punto di vista di Erdoğan “è un momento perfetto, il leader turco infatti sta intervenendo con 20mila uomini in Libia, poi nel nord dell’Iraq e della Siria contro i curdi e anche nel Mediterraneo. Tutto questo va contro gli interessi dell’Europa ed Erdoğan aveva bisogno di consenso perché l’economia turca è in grave difficoltà, così ha trovato appoggio nel mondo religioso più fanatico come i Fratelli musulmani”. L’Europa, dunque, instauri un dialogo più proficuo e profondo con le comunità islamiche anche su temi come la laicità, rileva lo scrittore, e al contempo adotti il pugno duro verso certe associazioni, moschee, imam legati all’estremismo più violento.
L’ondata di attentati che ha scosso l’Europa, d’altro canto, ha riportato l’attenzione su due aspetti chiave del discorso: le migrazioni e l’ignoranza reciproca tra mondi diversi che in Europa sta diventando anche incapacità di leggere i contenuti religiosi delle culture. Sotto questo profilo, per Impagliazzo, sopravvivono troppi pregiudizi reciproci: l’islamofobia nata dall’11 settembre 2001 non si è ancora dissolta, mentre da parte musulmana permane la tendenza a coprire ogni problema con una sorta di ideologia del vittimismo rispetto alle colpe dell’occidente. “Si pensi al peso dei pregiudizi tra cristiani ed ebrei”, riflette l’esponente di Sant’Egidio. “Un peso che è durato per secoli e ha prodotto un antisemitismo anche molto violento: quindi è decisivo liberarsi da simili atteggiamenti”.
D’altro canto, l’indifferenza verso la componente religiosa della vita collettiva significa perdere contatto anche con il cammino percorso negli ultimi decenni dai papi che si sono succeduti fino a Francesco, instaurando un dialogo con l’islam che, un passo alla volta, sta portando a superare paure reciproche e a cambiare l’orizzonte stesso entro il quale si muovono le grandi tradizioni religiose. “Il percorso di dialogo e incontro che stanno facendo cristiani e musulmani se ascoltato potrebbe avere importantissime ricadute sociali e civili”, osserva Impagliazzo. “Tutti ci rendiamo conto che la coabitazione e la convivenza fra culture diverse avverrà da questa parte del Mediterraneo, quindi la reciproca conoscenza è lo strumento per realizzarla e vivere in pace”.
In quanto ai migranti, sono di nuovo nell’occhio del ciclone e Lampedusa, nell’immaginario di molti, è diventata per l’ennesima volta la porta d’ingresso del jihadismo che vuole colpire l’Europa. “Noi incontriamo ormai da quarant’anni persone di diverse fedi e possiamo dire che la loro religione non diventa mai causa di conflitto nel paese in cui arrivano”, racconta in proposito il presidente del Centro Astalli. “Anche alla mensa (del centro, ndr) i musulmani hanno un luogo dove pregare, sanno che noi siamo cristiani, e c’è sempre stato un grande rispetto. Abbiamo un progetto nelle scuole che abbiamo chiamato Incontri il cui scopo non è tanto quello di fare storia delle religioni, quanto di far testimoniare persone che hanno fedi diverse. Siamo convinti che imparando a conoscere l’altro puoi costruire qualcosa di diverso” .
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