Molti si aspettano che Ngozi Okonjo-Iweala, l’ex ministra delle finanze e degli esteri della Nigeria, diventi la prossima direttrice dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Okonjo-Iweala era candidata alla presidenza della Banca mondiale nel 2012, prima che l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, scegliesse il suo connazionale Jim Yong Kim per l’incarico.

Durante le sue campagne per diventare presidente della Banca mondiale e della Wto, molti commentatori hanno sottolineato l’importanza di avere una donna nera e africana alla guida di una delle principali istituzioni finanziarie, sostenendo che è un “momento decisivo per l’Africa, a lungo soffocata da potenze straniere e istituzioni finanziarie”.

La corrente di sinistra del continente, tuttavia, dovrebbe rifiutare la politica della rappresentanza fine a se stessa: se tutto si riducesse ad avere una donna nera e africana che pratica le stesse politiche neoliberiste responsabili di ostacolare lo sviluppo economico dell’Africa, allora si tratterebbe di una rappresentanza controproducente.

L’erede del Gatt
Insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi) e alla Banca mondiale, la Wto forma l’“empia trinità” di istituzioni internazionali che governano il commercio globale e il sistema finanziario, a favore delle grandi aziende multinazionali e dei loro azionisti e a svantaggio degli ecosistemi e dei lavoratori nel resto del mondo. La Wto è stata fondata nel 1995 all’apice del trionfalismo neoliberista successivo alla guerra fredda. Ha sostituito il più generico Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (Gatt) con un’organizzazione permanente in grado di sanzionare più facilmente i paesi che cercavano di limitare il commercio internazionale, grazie a un meccanismo di risoluzione delle dispute tra stati (recentemente sabotato dagli Stati Uniti).

Il Gatt aveva permesso ai governi del sud del mondo d’istituire blandi strumenti di tutela delle loro industrie nascenti e altre limitazioni al commercio per proteggere lo sviluppo al proprio interno. Stati Uniti e governi europei volevano indebolire questi strumenti e applicare i princìpi del libero scambio anche ai servizi e alla proprietà intellettuale. Nel 1999 una coalizione globale di gruppi ambientalisti e di difesa dei lavoratori contestò l’organizzazione, organizzando le celebri proteste che ne interruppero l’incontro annuale a Seattle.

Anche se in teoria avrebbe dovuto essere dedicato ai bisogni dei paesi più poveri, l’ultimo round di negoziati globali sul commercio si è interrotto quando i governi del sud del mondo, guidati da India e Cina, si sono opposti a un’ulteriore apertura dei loro mercati al capitale nordamericano, europeo e giapponese. Hanno anche insistito affinché i governi del nord del mondo aprissero i loro mercati alle esportazioni agricole del sud riducendo le barriere commerciali, in particolare i sussidi ai propri settori agroalimentari.

Okonjo-Iweala è un’economista ortodossa, con una carriera decennale alla Banca mondiale

La domanda per la nuova direttrice della Wto quindi è: da che parte stai? Okonjo-Iweala darà un volto africano ai programmi del nord del mondo per l’espansione del libero mercato e il rafforzamento del potere delle grandi multinazionali? Oppure combatterà per i diritti dei paesi del sud del mondo, subordinando il commercio internazionale alle loro priorità di sviluppo nazionali?

Nonostante il governo nigeriano sia considerato protezionista (cosa che piace poco ai sostenitori dell’accordo di libero scambio continentale, l’Afcfta), Okonjo-Iweala è un’economista ortodossa, con una carriera decennale alla Banca mondiale e la sua candidatura alla presidenza dell’istituto era stata sostenuta dall’Economist e dal Financial Times, mezzi d’informazione non proprio paladini dei lavoratori e degli agricoltori africani.

Un debito odioso
Quando faceva parte dell’esecutivo del suo paese Okonjo-Iweala aveva suscitato le ire della sinistra nigeriana. Molti si erano opposti al suo primo atto come ministra delle finanze, ovvero l’accordo con il club di Parigi (che riunisce vari creditori ufficiali occidentali e il Giappone) per ristrutturare il debito estero della Nigeria nel 2003.

Okonjo-Iweala aveva negoziato una riduzione del debito nigeriano, passato da circa 35 miliardi di dollari a 17,4 miliardi, con un pagamento immediato di 12,4 miliardi. Poiché il debito era stato contratto da dittatori militari corrotti e i prestatori sapevano che i fondi sarebbero finiti nelle loro tasche, sostenevano tanti progressisti nigeriani, i cittadini della Nigeria non avrebbero dovuto pagare un solo dollaro. Si trattava di un debito odioso, che andava cancellato. Piuttosto, i miliardi usati per ripagarlo avrebbero potuto finanziare insegnanti, personale sanitario e infrastrutture.

Nel 2012 Okonjo-Iweala era diventata il volto pubblico dell’impopolare decisione di eliminare i sussidi al carburante. Il provvedimento aveva causato il raddoppio immediato dei prezzi dei trasporti e un forte aumento del costo della vita. I sussidi sul carburante erano l’unico beneficio che milioni di nigeriani traevano dalle vaste riserve petrolifere del paese, e in pochi credevano che i politici avrebbero usato quei fondi per le spese sociali, come avevano promesso. La decisione aveva portato a uno sciopero nazionale e alla nascita del movimento di protesta Occupy Nigeria, a cui avevano aderito artisti come Seun Kuti, Wole Soyinka e Chinua Achebe.

Nei decenni successivi alla fine formale del colonialismo, molti africani hanno imparato (a loro spese) che avere dei dirigenti che parlano e si comportano come loro non serve a nulla se poi questi perseguono politiche che danneggiano la maggior parte dei loro connazionali.

La nomina di Okonjo-Iweala – o di chiunque altro – alla guida della Wto conta solo nella misura in cui può aprire uno spazio politico che permetta ai paesi in via di sviluppo di perseguire le loro politiche industriali. La speranza è che una direttrice proveniente dal sud del mondo sia più consapevole delle sfide che il sistema di commercio globale pone alle economie periferiche.

Ma la carriera di Okonjo non ispira molta fiducia in questo senso. L’accordo informale tra gli Stati Uniti e l’Europa – che prevede che alla guida dell’Fmi ci sia sempre una personalità europea e che la Banca mondiale abbia una guida statunitense – è ingiustificabile. Ciononostante, la sinistra panafricana dovrebbe lottare per un’economia globale più equa e non solo per avere più “facce nere ai piani alti”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Africa is a contry.

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