“È il più elaborato cestino di carta straccia mai inventato”. Così John P. Humphrey commentava il gran lavoro svolto sulla Dichiarazione universale dei diritti umani, che oggi compie settant’anni. E questo è quello che pensa gran parte delle persone al potere nel mondo, che ogni giorno stracciano senza problemi alcuni dei trenta diritti elencati nella dichiarazione.

C’è un altro modo di leggere quel documento, rivendicato in centinaia di incontri e manifestazioni organizzate in tutta Italia in questi giorni. Quelle parole rappresentano una sorta di controstoria, concepita negli anni della più grande catastrofe vissuta dall’umanità e redatta al termine della seconda guerra mondiale, costata 68 milioni di morti.

Ora, poiché la scuola è il principale luogo pubblico che vive nella tensione tra ciò che c’è e ciò che si deve ancora realizzare, non stupisce che tante e tanti insegnanti stiano promuovendo in questi mesi percorsi didattici che mettono al centro il tema dei diritti universali. I diritti, infatti, o sono universali o si chiamano privilegi.

Non stupisce perché, per esempio, la legge 113 appena approvata dal parlamento – che lega provocatoriamente sicurezza e immigrazione – calpesta il diritto “di lasciare il proprio paese” (articolo 13 della dichiarazione), “il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” (articolo 14) e “il diritto di mutare cittadinanza” e “di avere una cittadinanza” (articolo 15).

Una discussione in classe
“Queste frasi descrivono qualcosa che dovresti avere appena nasci”, commenta un’adolescente napoletana che frequenta l’istituto professionale alberghiero di Bagnoli. Una mattina di qualche settimana fa ragazze e ragazzi di quella scuola hanno trovato sui loro banchi una gran quantità di piccoli foglietti. Su ciascuno c’era stampato un articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani.

I ragazzi hanno letto attentamente i foglietti, se li sono scambiati e hanno cercato di interpretarli. “È qualcosa di sostanziale”, dice uno. “C’è scritto che il diritto vale ovunque”, commenta un altro. Ne è nata una discussione appassionata come raramente accade, anche se la proposta è apparsa singolare perché suggerita dalla docente di matematica. L’insegnante ha chiesto poi di dare un punteggio da zero a quattro che indicasse l’importanza data da ciascun ragazzo a ogni articolo. Poi ha chiesto anche di valutare quanto quell’articolo sia applicato nella realtà.

Ragazze e ragazzi ne discutono e si sono divisi riguardo alla presenza o meno in Italia della “libertà di manifestare, isolatamente o in comune e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo, nell’insegnamento, nella pratica, nel culto, nell’osservazione dei riti” (articolo 18). Secondo qualcuno questa libertà nel nostro paese c’è e secondo qualcuno no, perché nella scuola si insegna solo la religione cattolica. Qualcuno ha ricordato di avere sentito polemiche riguardo alla costruzione di moschee.

Anche riguardo alla libertà di espressione, che ha raggiunto il massimo punteggio per importanza, si sono aperte discussioni e alcuni hanno fatto l’esempio di Jorit, un writer napoletano arrestato a Betlemme per avere dipinto su un muro il volto di Ahed Tamimi, la ragazza palestinese arrestata perché ha dato uno schiaffo a un soldato israeliano.

L’insegnante è stata soddisfatta di constatare come diversi fatti di cronaca, nei giorni successivi, siano stati commentati dai ragazzi facendo riferimento a quei trenta articoli della dichiarazione.

Un testo collettivo
Bambine e bambini delle seconde e quarte elementari di undici scuole della provincia di Terni sono impegnate da oggi in una scrittura collettiva che durerà fino alla prossima primavera. La scrittura di due testi a 480 mani parte da due incipit, donati da Fabrizio Silei e Bruno Tognolini, noti scrittori che si sono dedicati all’infanzia. Hanno per tema il diritto di viaggiare ed emigrare, e quello di aprire le porte di una città, permettendo massima permeabilità tra il dentro e il fuori.

La maestra che ha proposto a decine di colleghe questa singolare staffetta di scrittura sostiene che per i bambini ascoltare e narrare storie permette di avvicinarsi in modo non superficiale o retorico ai valori contenuti nella dichiarazione universale. E poiché la dichiarazione, come la nostra costituzione, è un testo collettivo, è interessante avvicinarla cimentandosi nella stesura di un testo collettivo, che comporta un grande esercizio di democrazia. Ci si deve infatti ascoltare con attenzione, si deve mediare, talvolta qualcuno deve rinunciare alla propria proposta e accettare una decisione presa collettivamente, perché la maggioranza l’ha ritenuta migliore.

Realizzare tutto ciò coinvolgendo per tre mesi 24 classi è una piccola impresa piena di senso. “Come in un gioco di squadra è indispensabile non perdere mai il testimone, avendone cura fino alla fine”, spiega la maestra. “Solo allora si può dire di essere arrivati al traguardo tutti insieme: non solo l’ultimo ma anche il primo, che magari andava più lentamente”.

Ho fatto questi due esempi, tra i tanti che si stanno sperimentando in tutta Italia, perché mostrano che i diritti sono come la democrazia, per capirla bisogna praticarla e sperimentarne difficoltà e pregi sulla propria pelle.

Tante e tanti sono le docenti e gli insegnanti che vivono con dolore e apprensione l’imbarbarimento del discorso pubblico e il diffondersi di posizioni xenofobe nelle espressioni correnti e ricorrenti. È come se fuori, nella società, si smentisca e si smonti quotidianamente ciò che a fatica si cerca di costruire dentro le scuole, dall’infanzia alle superiori.

A settembre il Tavolo SaltaMuri ha lanciato la campagna Mille scuole aperte per una società aperta, che comincia oggi e si prolungherà per l’intero anno scolastico. Al tavolo hanno già aderito oltre 120 associazioni, gruppi, scuole, piccoli e grandi comuni, tra cui Napoli, Torino e Palermo.

Giancarlo Cavinato, portavoce dell’iniziativa, chiede a tutte le scuole impegnate in ricerche e sperimentazioni sui diritti, sulla cittadinanza, sulle migrazioni e su uno studio più attento alle diverse realtà del mondo – a partire dall’Africa, spesso dimenticata nella scuola – di segnalare i loro lavori sul sito www.saltamuri.it.

A settant’anni dalla firma della Dichiarazione universale dei diritti umani, SaltaMuri si propone di raccogliere un repertorio di pratiche efficaci perché il documento non finisca in un cestino e diventi il cuore di una proposta formativa più che mai necessaria oggi, nella “scuola della costituzione”.

Più di cento manifestazioni
A SaltaMuri aderisce anche la Tavola per la pace, che riunisce a sua volta tante associazioni che da anni organizzano la marcia per la pace Perugia-Assisi, promossa da Aldo Capitini nel 1961. Lo scorso ottobre, proprio a Perugia – in due giornate di lavoro che hanno coinvolto 3.500 ragazze e ragazzi di tutta Italia – sono state organizzate per oggi più di cento manifestazioni, da Canicattì a Trieste, a Udine. Un’insegnante di scuola media ha coinvolto 18 istituti comprensivi in un progetto lungo un anno dedicato ai diritti umani.

Flavio Lotti, coordinatore della Tavola, fa questo esempio: “Questa mattina a Ponte Valleceppi cinque quinte della scuola primaria della periferia di Perugia sono uscite dalle loro aule e hanno invaso pacificamente le strade del quartiere portando in ogni negozio e luogo pubblico una copia della Dichiarazione e una ‘Bussola dei diritti’ da loro elaborata. Poi sono andati alla scuola secondaria di primo grado e hanno condiviso con i ragazzi più grandi la loro ricerca”. La mappa delle manifestazioni si trova su www.peridirittiumani.it.

Questa sera a Milano, al passaggio della fiaccolata promossa da Emergency e molte altre associazioni, il consiglio comunale interromperà la sua seduta e parteciperà alla manifestazione. Insomma, in questo tempo che sembra andare in tutt’altra direzione, c’è chi crede ancora a quella carta firmata settant’anni fa, e nella scuola c’è chi convintamente non si sottrae a questo impegno, che non riguarda solo la memoria del passato, ma concreti compiti di difesa dei diritti di tutti nel presente, a partire da quelli dei bambini.

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