“In questa tragedia tutti hanno ragione e tutti hanno torto perché alla fine tutti hanno un po’ sbagliato a non ascoltare gli altri”. Così dice Marta a 11 anni, aggiungendo: “Noi siamo un po’ tutti i personaggi di Sofocle perché siamo umani. Un giorno abbiamo tanta paura, un momento tanto coraggio, a volte siamo Ismene altre volte Antigone. Ma se tutti fossimo capaci di metterci nei panni degli altri vivremmo in un mondo migliore”.
Marta è allieva della maestra Annalisa Sciabica, che insegna nella scuola Nicolò Garzilli di Palermo ed è stata coinvolta in un progetto partito nel quartiere di Ballarò, che da otto anni porta avanti “I classici in strada”, con intuizione visionaria. Un progetto promosso da Isabella Tondo, professoressa di lettere antiche che crede nella città come luogo di confronto e di cultura, come i suoi amati greci. Il progetto è cresciuto anno dopo anno ed è sostenuto da un gruppo sempre più numeroso di docenti, dal Centro di iniziativa democratica degli insegnanti e da altre associazioni sul territorio.
Quest’anno Marta e i suoi compagni si sono confrontati con la tragedia di Antigone. La storia è assai nota e narra della giovane figlia di Edipo che decide di seppellire il fratello Polinice ribellandosi alla legge del re Creonte, che lo vuole punire anche da morto perché traditore della patria. Intorno al tema cruciale che contrappone la legge dello stato alla più antica legge senza tempo degli affetti, della pietà e dei legami familiari, si snoda una tragedia che è stata molte volte riscritta perché pone questioni etiche radicali e di Antigoni ne nascono in ogni tempo.
Una storia ancora attuale
Grazie ai collegamenti a distanza con cui ci siamo impratichiti un po’ tutti in questi lunghi mesi di scuola a singhiozzo, mi sono trovato una mattina di aprile a ragionare intorno alla storia di Antigone con le ragazze e i ragazzi della classe di Marta, dopo avere partecipato a dialoghi intensi in altre tre classi elementari perché, come ha detto Mattia, che frequenta la terza, “a distanza di secoli di Antigone se ne parla ancora”.
Nella sua classe un’altra Marta ricorda che loro l’ascolto della tragedia, raccontata dalla maestra, l’hanno legato a una ricerca sui diritti. E tra tanti diritti lei aveva scelto di approfondire quello di avere un nome, sostenendo convinta che “essere senza nome è come non avere mai messo piede sulla terra” e che “cambiare nome sarebbe una cosa molto brutta”. Ci troviamo così a discutere della condizione di numerosi figli di famiglie immigrate, costretti a cambiare nome perché il modo in cui li hanno chiamati alla nascita i genitori ha un suono difficile da pronunciare in Italia, per la pigrizia linguistica di noi nativi.
Con Antigone capita così di viaggiare, andare lontano e dunque comprendere meglio problemi che ci sono vicini: uno straordinario allenamento al pensiero lento e critico, sostenuto da un corpo a corpo con pagine memorabili di una tragedia greca.
Classici, diceva Italo Calvino, sono quei testi che non smettono mai di porci domande
“La guerra porta solo la guerra”, ricorda Matilde, che frequenta la terza elementare nella scuola Lombardo Radice, pensando allo scontro fratricida tra Eteocle e Polinice, mentre Viola, della quinta di Marta, racconta che in classe per rappresentare Creonte hanno pensato a due tappi di sughero: i tappi che aveva nelle orecchie il re di Tebe, perché non in grado di ascoltare né il saggio Tiresia né ciò che pensava il popolo della sua città, solidale con Antigone, né le parole del figlio.
“Tu, padre, vuoi sempre parlare e ascoltare mai”, afferma il mite Emone nel testo di Sofocle, aggiungendo: “Chi crede di essere il solo a capire, il solo a poter parlare, il solo a possedere un’anima retta, appena lo apri scopri che è vuoto”.
La maestra Annalisa Sciabica racconta alla fine della mattina che, quando ha letto la tragedia, nella classe è calato un silenzio concentrato come mai prima, e ciascuno è entrato pienamente nella storia della giovanissima ragazza ribelle di Tebe.
Il valore dei classici
Quando pensiamo a come dovrebbe essere una scuola attiva capace di dare davvero la parola a tutte e a tutti, ragioniamo giustamente sugli spazi, sui tempi, sui modi del dialogo da attuare nel presente e nel futuro, ma non dobbiamo mai dimenticare la profondità di alcune domande che provengono da un passato remoto, sorgenti fondamentali per una scuola che ami volare alto.
Classici, diceva Italo Calvino, sono quei testi che non smettono mai di porci domande. In questa mattina trascorsa da lontano a Palermo, ancora una volta mi sono reso conto che quando un classico riprende vita, entrando in sintonia o collisione con un gruppo di bambine e bambini, provoca scintille e accende interessi inattesi, che scavano profondamente dentro ciascuno di noi.
Viola afferma che se Eteocle non avesse infranto il patto, se Polinice non avesse chiesto aiuto ai nemici per assediare Tebe, se Creonte avesse accettato di seppellire in egual modo i due nipoti morti in battaglia, si sarebbe risolta in altro modo la storia evitando la tragedia. Per questo lei desidera ripensarla così.
“È più facile ammettere di aver sbagliato per voi bambini o per noi adulti?”, le domando. “Per noi bambini”, risponde senza esitazione, “perché gli adulti sono più testardi, somigliano più a Creonte, immobile”. Ascoltando la profondità e la saggezza di tante frasi pronunciate in classi dove si trova il tempo e si ha il coraggio di dare la parola a bambine e bambini, penso che la mancanza di ascolto dell’infanzia è una delle cause per cui abbiamo così tanta difficoltà a liberarci dalle troppe tragedie che ci circondano. E frequentare Sofocle fin dalla scuola elementare può aiutare.
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