Per assecondare la teoria del complotto contro il Movimento 5 stelle, alle quirinarie non poteva mancare un presunto attacco hacker. Nel comunicato ufficiale di Beppe Grillo manca comunque il solito trionfalismo sulla democrazia della rete. Non c’è da meravigliarsi. Perché le tanto osannate quirinarie per la scelta dei candidati M5s si sono concluse con un bel pasticcio per il movimento.
Nella rosa dei dieci candidati scelti dalla base ci sono anche due campioni della vecchia politica: Romano Prodi ed Emma Bonino. Prodi era già ministro del governo Andreotti nel lontano 1978, quando la Germania era governata da Helmut Schmidt e moriva papa Paolo VI. Ancora peggio la Bonino, che è in politica dal 1975, anno in cui con la morte di Franco in Spagna finiscono 36 anni di dittatura. È un bel guaio per Beppe Grillo, ma è anche un fatto che evidenzia le contraddizioni esistenti nel movimento. Perché l’hanno fatto?
Si può presumere che nel caso di Prodi abbia prevalso la voglia di far arrabbiare Silvio Berlusconi, votando il candidato più temuto dal Cavaliere. Più complesso il caso di Bonino, che è stata otto volte parlamentare tra camera e senato, tre volte parlamentare europea, ministra, vicepresidente del senato, commissaria europea nominata da Berlusconi e candidata del centrosinistra alle regionali nel Lazio. Bonino, sconfessata da Grillo già mesi fa, e l’M5s sono come il diavolo e l’acqua santa. Da sempre liberista, ha sponsorizzato la privatizzazione dell’acqua e ha promosso i cibi ogm senza etichettature. Possibile che la base del movimento non l’abbia saputo?
Ma il pasticcio non finisce qui. Perché gli elettori certificati hanno anche ignorato lo statuto del loro stesso movimento, includendo Beppe Grillo tra i papabili. Suppongo che tutti gli attivisti sapessero che il fondatore del movimento non sia eleggibile, vista la condanna ricevuta per un incidente con tre vittime da lui provocato. Strano che un movimento che chiede la fedina penale a tutti i candidati chiuda un occhio per il proprio leader. Ma ci sono altre contraddizioni.
Perché sono stati votati anche due candidati che hanno rifiutato ripetutamente e in modo inconfutabile la candidatura al Quirinale: Dario Fo e Milena Gabanelli. Fo per motivi ovvi, perché sarebbe assurdo eleggere un ottantaseienne per un settennato che termina nel 2020. La Gabanelli perché non ci pensa neanche lontanamente.
È chiaro che la scelta di Bonino o Prodi come candidato ufficiale sarebbe un bello smacco per il movimento. Già i deputati si attivano per evitarlo. “Informatevi sulla Bonino e Prodi, che di aspetti negativi ne hanno moltissimi”, esorta il vicecapogruppo Riccardo Nuti. Il professor Paolo Becchi, uno degli ispiratori del movimento, ironizza: “Se il nuovo che avanza è questo, avrei preferito un secondo attacco hacker”. Quindi lunedì, al secondo giro, agli elettori non rimane che scegliere tra i restanti cinque candidati della rosa: tutti maschi dell’età media di 74 anni. Giusto per assecondare la gerontocrazia maschile da sempre dominante in Italia.
E i cinque non sono neppure indiscussi. La candidatura del procuratore Giancarlo Caselli, che ha fatto arrestare alcuni attivisti no Tav, ha indignato il movimento da sempre vicino a Grillo. Secondo un sondaggio su Facebook il secondo turno lo vincerebbe Gino Strada, un personaggio con molti meriti, ma che per il suo carattere spigoloso non sembra adatto alla prima carica della repubblica. Rimangono altri tre sui quali potrebbero convergere anche voti del Partito democratico.
Il magistrato Ferdinando Imposimato, il giurista Stefano Rodotà e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky. Rodotà ha ottant’anni e una lunga carriera politica alle spalle: quattro volte deputato, una legislatura come parlamentare europeo, vicepresidente della camera e presidente dell’autorità garante per la privacy. Il Pd potrebbe essere tentato di votarlo.
L’M5s ha comunicato la rosa dei dieci candidati in ordine alfabetico. Quindi non si sa chi sia stato il più votato. E in barba alla trasparenza tanto osannata non ha comunicato neanche il numero dei votanti. Gli aventi diritto erano 48mila, lo 0,4 per cento degli elettori M5s. Non certo un numero rappresentativo.
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