L’Italia è un paese minacciato da una corruzione dilagante, dall’aumento delle attività mafiose e dalla mancanza di riforme efficienti. Ma è anche una repubblica che adora i rituali bizantini e i protocolli anacronistici.

Una delle cerimonie più sfarzose è tradizionalmente quella del giuramento del presidente della repubblica, che è stato celebrato il 3 febbraio in una capitale transennata e precipitata in un gigantesco ingorgo, con molte linee di autobus deviate. Una cerimonia con dozzine di corazzieri a cavallo e carabinieri in moto, con salve di cannone e le frecce tricolori che sorvolano piazza Venezia, con l’omaggio al Vittoriano in un tripudio di inni, elmi, uniformi e fanfare.

Sergio Mattarella ha subìto tutti questi rituali con umiltà e pazienza. Ha tenuto il suo breve e sobrio discorso d’insediamento in modo prevedibile e senza sorprese. Si è permesso una battuta scherzosa, invitando i giocatori ad aiutarlo a svolgere il ruolo di arbitro imparziale. I parlamentari hanno accolto con applausi a scena aperta anche i passaggi più ovvi, come il rituale omaggio alla resistenza e alla lotta contro la mafia.

Ma i giocatori in giacca e cravatta, che si sono spellati le mani a ogni accenno ai valori della costituzione, erano gli stessi che solo poche ore prima nella stessa aula si erano dedicati all’indecente pratica dei voti segnalati, agli intrighi dietro le quinte, alle faide e ai veleni tra compagni dello stesso partito. Molti di loro sono giocatori notoriamente inclini a commettere fallo che difficilmente si piegheranno a un arbitro mite come Mattarella.

La cerimonia bizantina e anacronistica del 3 febbraio, trasmessa in diretta su tutti i canali, ha sottolineato in modo netto l’abisso che separa il rissoso e inefficiente mondo della politica dalla cruda realtà di un paese con le pile scariche, minacciato da disoccupazione e povertà e distante anni luce dagli elmi dorati del Quirinale. Mattarella cercherà sicuramente di avvicinare questi due mondi. E forse riuscirà anche a mandare finalmente in pensione i corazzieri a cavallo, l’espressione più evidente degli inutili sfarzi del passato.

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