La vicenda di Anders Behring Brevik, autore dell’attentato di Oslo e della strage di Utøya del 22 luglio 2011 (77 morti), è stata per i norvegesi l’occasione per una grande introspezione collettiva. Governo, polizia e giustizia sono stati al centro dei dibattiti. E il quarto potere – la stampa – non hanno fatto eccezione.
In un primo momento i mezzi d’informazione sono stati incensiti per la dignità e la misura con cui hanno affrontato l’evento e il lutto che ha seguito. Ma, con il passare del tempo, questo atteggiamento è andato a scapito dell’approfondimento e dell’inchiesta.
Per la maggior parte dei giornalisti, “la stampa ha dato una copertura degna e prudente dello shock e del lutto che ha seguito il 22 luglio”, scrive a questo proposito Aftenposten. Tuttavia, sottolinea il quotidiano di Oslo, “questo atteggiamento è andato a scapito della critica e dell’investigazione”, e alcuni giornalisti si chiedono ora se non sono stati troppo timorosi.
A provocare il “mea culpa” dei giornalisti è stata la pubblicazione del rapporto della commissione indipendente sul 22 luglio, il 13 agosto. Quest’ultimo ha messo in evidenza “l’assenza di responsabilità e l’incapacità di agire” delle forze dell’ordine, ha criticato l’azione del Primo ministro. In diverse aree, ha messo in luce serie mancanze e gravi errori […] oltre a fraintendimenti e disinvolture. Sia la polizia che le autorità locali hanno cancellato e distorto i fatti e abbellito la verità”.
“Le descrizioni critiche della stampa sono una brezza rispetto alla durezza dei contenuti del rapporto”, ha scritto Helge Simmones sul quotidiano Vårt Land. E infatti, spiega ancora Aftenposten,
nei mesi che hanno seguito gli attacchi dell’anno scorso l’Istituto per il giornalismo ha intervistato 80 caporedattori e giornalisti sulla loro esperienza della copertura degli attacchi terroristici. Tutti hanno ammesso che i mezzi d’informazione si sono astenuti in un primo momento dal criticare la polizia e i soccorsi. La precedenza è andata alla copertura del lutto e della solidaritetà. Anche i mezzi d’informazione hanno partecipato al raccoglimento. Dei giornalisti scafati e con esperienza delle zone di guerra hanno detto di aver avuto un nodo alla gola. Alcuni titoli erano anche stati direttamente colpiti. […] La critica era considerata inappropriata e di poco tatto, poiché il pubblico non era pronto, e i mezzi d’informazione non erano alla ricerca di capri espiatori.
Dall’analisi di Aftenposten viene fuori che i tabloid sono stati “i più reticenti a uscire dal lutto” e “non hanno mai cambiato taglio dalle persone ai sistemi. Probabilmente perché, per vendere, il giornalismo deve essere personificato. I sistemi e le strutture non hanno volto”. E il giornale conclude:
Tutti i mezzi d’informazione sono stati prudenti. […] Molti direttori e giornalisti hanno detto di essere coscienti che le loro scelte sarebbero state oggetto di critica. […] Siamo forse stati troppo prudenti? Forse la stampa ha fatto un ritratto troppo blando degli attentati per paura di urtare qualcuno. C’è da credere che la calma, la dignità e la decenza sono andati a scapito del giornalismo critico e dell’inchiesta.
Gian-Paolo Accardo è condirettore di Presseurop. Collabora con Internazionale da Parigi.
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